Se consideriamo i più importanti avanzamenti scientifici del XIX secolo, la teoria elettromagnetica di James Clerk Maxwell è seconda solo al lavoro di Darwin “l’origine delle specie”.

Tuttavia questa importanza non fu riconosciuta subito, e non parlo di qualche anno. Rimasi sorpreso quando scoprii che ci vollero circa 30 anni affinché le equazioni di Maxwell fossero capite a pieno, e che addirittura per i primi 20 anni furono praticamente ignorate.
Dopo un po’ di ricerche, ho individuato due motivi principali per spiegare ciò:

James Clerk Maxwell (1831-1879)
  • Il carico concettuale della teoria di Maxwell.
  • La modestia di Maxwell.

Il tangibile e l’intangibile

La teoria di Maxwell, pubblicata per la prima volta nel 1865, risulta ancora oggi un po’ indigesta per la maggior parte dei neofiti, figuriamoci per i fisici del 1800!
Immaginiamo il contesto culturale di questi fisici: l’universo newtoniano era composto da oggetti tangibili, in grado di interagire “a distanza” l’uno con l’altro in maniera misteriosa. Nonostante l’azione a distanza, le quantità misurabili erano tangibili, e questo era quello che contava!
Prima Faraday e poi Maxwell introdussero il giochino astratto dei “campi” intangibili che si estendono nello spazio e producono perturbazioni locali nel moto dei corpi. Per i fisici dell’epoca si trattava giusto di un giochino, un utensile fantasioso per schematizzare un meccanismo che funzionava bene anche senza.

Un disegno originale di Maxwell sulle linee di forza e le superfici equipotenziali.

Infatti i fisici classici ragionavano in termini meccanicistici perché erano figli del loro tempo, a cavallo tra la prima e la seconda rivoluzione industriale. Per loro i “campi” erano la manifestazione di strutture meccaniche composte da una moltitudine di piccoli vortici in grado di trasmettere gli stress meccanici tra cariche e correnti.

Maxwell era un visionario, ma pur sempre un fisico del 1800, per cui i campi da esso descritti avevano come fine ultimo quello di inserirsi nel contesto della teoria dei vortici. Il risultato era di una difficoltà paurosa e fu un po’ come darsi la zappa sui piedi.

Questo fu uno dei principali freni alla comprensione della teoria: per i suoi contemporanei era dannatamente complicata, difficile da visualizzare e senza nessun vantaggio rispetto al framework newtoniano.

Nel framework newtoniano il campo elettrico e il campo magnetico venivano descritti come due entità ben distinte, e la loro azione sui corpi veniva descritta con le leggi empiriche di Faraday, Lenz e Gauss, usando il concetto misterioso di forza a distanza.

Maxwell invece fece uno dei più grandi passi avanti nella Storia del Pensiero: l’interazione si propagava alla velocità della luce attraverso un certo mezzo (l’etere) sotto forma di onda elettromagnetica, e cioè di una nuova entità fisica che vede campo elettrico e campo magnetico come due facce della stessa medaglia.

Nessuno era pronto per capire la portata di questa grande unificazione. Nessuno l’aveva richiesta, e nessuno era volenteroso di imparare la matematica necessaria.

Infatti un altro problema fu che Maxwell non scrisse le sue equazioni nella forma elegante che conosciamo oggi (grazie al lavoro di Heaviside)

Sinistra: le equazioni di Maxwell originali. Destra: le equazioni di Maxwell in notazione di Heaviside.

bensì scrisse delle equazioni vettoriali componente per componente, per un totale di 20 equazioni, e con una notazione un po’ buffa. Pensa che disastro dover fare una peer review di un lavoro simile!

Quando la modestia è controproducente

È riportato che durante una conferenza Maxwell riservò alla sua teoria elettromagnetica giusto una breve menzione:

“[…] Un’altra teoria dell’elettricità che io preferisco rinnega l’azione a distanza e attribuisce l’azione elettrica alle tensioni e pressioni di un mezzo che pervade l’universo. Queste tensioni sono dello stesso tipo di quelle familiari agli ingegneri, e il mezzo è lo stesso in cui si pensa che avvenga la propagazione della luce.”

James Clerk Maxwell

Tutto qui? Tutto qui. Quando Newton scoprì le leggi della gravitazione le annunciò al mondo con un sonoro “Ora dimostrerò la struttura del sistema del Mondo”, mentre Maxwell si limita a citare il proprio lavoro con la frase “un’altra teoria che io preferisco…”


La sua modestia spinse i fisici dell’epoca a non prendere sul serio la teoria, ritardandone la comprensione per almeno 20 anni, fino ai lavori di Hertz, Lorentz e Einstein, i quali crebbero già in un contesto più amichevole al concetto di campo, per cui ai loro occhi sembrava quasi ovvio che il mondo dovesse parlare il linguaggio della teoria di Maxwell.

La transizione concettuale

La teoria di Maxwell diventa semplice e intellegibile solo quando si esegue una transizione concettuale: gli oggetti primari non sono più i modelli meccanici: le forze sono solo un ingrediente secondario, il campo elettromagnetico è l’ingrediente primario!

Ciò che è misurabile non è direttamente il campo elettromagnetico, ma una sua particolare espressione matematica: ad esempio il modulo quadro del campo rappresenta la sua energia, che è una quantità misurabile. Le quantità misurabili, a differenza della teoria di Newton, diventano una manifestazione secondaria di ciò che si nasconde dietro, il quale è molto più profondo.

Questo innovativo modo di pensare è stato replicato per tutto il XX secolo: oggi abbiamo ridotto all’osso le equazioni di Maxwell, capendole dal punto di vista della relatività di Einstein. Dalle 20 equazioni originali, passando per le 4 equazioni di Heaviside, arriviamo alla forma elegantissima di oggi, la quale le condensa tutte in due righe:

Le equazioni di Maxwell nell’elettrodinamica relativistica.

Questo è stato fatto grazie a un altro salto concettuale: il potenziale vettore del campo elettromagnetico, un tempo considerato solo come uno strumento astratto, si è rivelato come l’unico modo per trasportare l’elettromagnetismo nel reame della teoria classica dei campi. Questa necessità ha spalancato le porte alla formulazione dell’elettrodinamica quantistica e di tutta l’infrastruttura delle teorie di gauge moderne.


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