“E questa…chi l’ha ordinata?” La particella che contribuì a verificare la Relatività

A cavallo degli anni ’30 del secolo scorso, la fisica delle particelle si trovava in una fase di rapida evoluzione:

Insomma, questa timeline poteva far pensare che stessimo avanzando a passo spedito verso una comprensione delle interazioni nucleari (oggi note come interazioni forti). Perciò è facile comprendere l’esclamazione iconica del fisico Isidor Rabi quando si concluse che la nuova particella scoperta da Carl Anderson e Seth Neddermeyer nel 1936 (che oggi sappiamo essere il muone) non partecipava alle interazioni nucleari forti, cioè non era il pione teorizzato da Yukawa, ma era anzi un “cugino più ciccione” dell’elettrone:

E questa…chi l’ha ordinata?

I.I. Rabi (premio Nobel 1944)

Chi ha ordinato un cugino più ciccione dell’elettrone? In gergo da fisici significa: questa particella non ci aiuta ad avanzare le nostre comprensioni del nucleo dato che non sente l’interazione forte, quindi a che pro la sua esistenza? Che cosa ce ne facciamo di un elettrone più massiccio? E inoltre, perché è tipo 200 volte più massiccio dell’elettrone, ma ha uguale carica elettrica e spin?

La massa del muone è circa 200 volte quella dell’elettrone, ma hanno stesso spin e carica elettrica.

È vero, è vero, la scienza non si occupa dei “perché”, ma cerca di sfruttare ogni scoperta al fine di migliorare la condizione sociale e culturale dell’umanità.

In questo senso, la scoperta del muone ha avuto una grande importanza non solo per la fisica delle particelle, ma anche per una delle prime verifiche della celebre dilatazione temporale prevista dalla Relatività Ristretta. In questa verifica c’è un pezzo di Italia: il fisico veneziano Bruno Rossi.

L’ innovazione di Bruno Rossi 

Nell’anno della scoperta del muone, Bruno Rossi insegnava fisica sperimentale a Padova, ed era già un nome affermato nel campo della fisica dei raggi cosmici. Questi ultimi venivano osservati da un paio di decenni e consistevano in particelle cariche ionizzanti che si formavano nell’atmosfera, a causa (come si scoprì) dell’impatto tra gli atomi atmosferici e particelle altamente energetiche (principalmente protoni) provenienti dalle profondità del cosmo. Fu proprio da queste collisioni che venne scoperto il muone. 

Un giovane Bruno Rossi (sinistra) con Enrico Fermi, al primo congresso internazionale di fisica nucleare di Roma. 

Rossi era riservato, mite e profondamente artistico (era un grande ammiratore di Dante Alighieri), ed era descritto dai suoi colleghi come una personalità “complessa, un po’ da poeta e un po’ da scienziato”. Gli fu sottratto il posto da insegnante nel 1938 per via delle leggi razziali italiane, e fu quindi costretto ad emigrare. Dopo un soggiorno a Manchester, si trasferì definitivamente negli Stati Uniti su invito dell’università di Chicago per la partecipazione a un simposio proprio sul muone, la nuova particella. 

Rossi aveva grande manualità nella costruzione di circuiti in grado di rivelare il passaggio di queste particelle, tant’è che alcune sue invenzioni sono poi diventate lo standard nel campo della fisica dei rivelatori. Dopo il simposio di Chicago, si occupò di dimostrare che il muone è una particella instabile, e riuscì a inferire che il suo tempo medio di decadimento doveva essere di circa 2 microsecondi. Questa fu la prima dimostrazione sperimentale del decadimento di una particella sub-nucleare. 

È molto probabile che, mentre stai leggendo, alcuni muoni derivanti dai raggi cosmici ti stiano attraversando dall’alto verso il basso.

La dilatazione dei tempi

Il punto fondamentale è che questo tempo medio di decadimento del muone è riferito rispetto al sistema di riposo della particella.

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Il ragionamento è questo: le particelle non amano stare ferme, questi muoni sono prodotti in collisioni nell’alta atmosfera, dopodiché si dirigono a grande velocità verso il suolo terrestre. Se ci mettiamo in un sistema di riferimento solidale a un muone (cioè ci muoviamo nella sua stessa direzione e con la sua stessa velocità in modo che, rispetto a noi, risulti fermo), e cronometriamo dal momento in cui è prodotto al momento in cui decade, il tempo che passerà ammonta a circa 2 microsecondi, come è possibile calcolare con la teoria di Fermi dell’interazione debole.

La velocità dei muoni è una frazione apprezzabile della velocità della luce, per cui diventa apprezzabile la natura interconnessa tra spazio e tempo prevista dalla relatività speciale di Einstein. Prendiamo due eventi temporali che accadono nello stesso punto dello spazio, la distanza temporale la chiamiamo \Delta \tau. Gli stessi eventi temporali, visti ora da qualcuno che si muove a velocità v rispetto a prima, sono invece distanziati temporalmente di una quantità \Delta t relazionata a \Delta \tau secondo la celebre formula:

dove c è la velocità della luce. Vediamo che per v\to c il denominatore approccia zero, e dunque \Delta t cresce molto: si ha una dilatazione dei tempi dal punto di vista dell’osservatore che vede i due eventi verificarsi in punti diversi dello spazio (per via del suo moto relativo). Questo è il contenuto teorico della relatività ristretta: a basse velocità v\to 0 rispetto alla velocità della luce, si ha approssimativamente che \Delta t\approx \Delta \tau, cioè il tempo ha la stessa durata per tutti, come siamo abituati nella nostra quotidianità.

Sinistra: grazie alla dilatazione dei tempi, siamo in grado di rivelare i muoni. Destra: se non ci fosse la dilatazione dei tempi, i muoni decadrebbero dopo 600 metri.

L’ esperimento di Rossi e Hall

Nel caso dei muoni, gli eventi “creazione” e “decadimento” del muone avvengono nello stesso punto dello spazio dal punto di vista del muone (secondo il muone, siamo noi a muoverci mentre lui è fermo nel suo sistema di riferimento). Se non esistesse la relatività speciale e il tempo di decadimento del muone fosse quello a riposo, li vedremmo decadere dopo aver percorso solo circa 600-700 metri.

    \[L\approx \underbrace{(0.9\cdot c)}_\text{velocità}\times (2.2*10^{-6})\text{ s}\approx 600\,\text{m}\]

Dato che i muoni vengono prodotti dalle collisioni dei raggi cosmici con l’atmosfera a circa 15 km di altezza rispetto al livello del mare, ciò significherebbe che non saremmo in grado di rivelarli neanche nelle cime montuose più alte del pianeta: decadrebbero ben prima!

Grazie ai suoi apparecchi sperimentali, nel 1940 Rossi riuscì a verificare la seguente relazione tra distanza percorsa L dei muoni e la loro energia E:

m_\mu è la massa del muone, \Delta \tau è il suo tempo di decadimento a riposo, pari a circa 2 microsecondi.

la quale discende direttamente dalle formule della relatività ristretta. Bastava quindi verificare che il rapporto tra distanza percorsa ed energia dei muoni doveva essere una costante pari a \Delta \tau/(m_\mu c). Rossi e Hall eseguirono l’esperimento sia a Echo Lake (3240 metri) che a Denver (1616 metri) in Colorado, e la verifica ebbe successo!

I muoni riuscivano a raggiungere altitudini così basse grazie alla dilatazione temporale: rispetto a noi, il loro tempo di decadimento è più lungo, dunque percorrono una distanza maggiore prima di decadere.

Quindi, 35 anni dopo la sua formulazione, nel 1940 la Relatività Ristretta superò uno dei primissimi test di validità, e tale test riguardava proprio uno degli aspetti più controversi: la dilatazione temporale. Ciò non sarebbe stato possibile senza l’ausilio dei raggi cosmici (che mettono a disposizione una quantità generosa di particelle con cui far “giocare” i fisici) e l’expertise di Rossi e gli altri fisici delle astroparticelle dell’epoca.

La precisione con cui Rossi e i suoi collaboratori riuscirono ad estrarre i parametri dei muoni è lodevole, nonostante fossero esperimenti condotti agli albori dell’elettronica dei rivelatori. Oggi un rivelatore di muoni può essere costruito anche a casa, ad un costo non troppo distante dai 100€, come illustrato qui: http://cosmicwatch.lns.mit.edu/detector#cosmicwatch.


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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la specializzazione in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, studia simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard, interessandosi anche di Relatività Generale.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Quark: uno sguardo sulla Cromo-Dinamica Quantistica

Si sa: più si cerca di semplificare la fisica, più è probabile incappare in incomprensioni e confusione. È quello che nello slang degli economisti si chiama “trade off” : il nostro trade off è che acquisiamo intuizione, ma sacrifichiamo la precisione.
Nella fisica delle particelle la teoria dei Quark (QCD) è la teoria più complessa mai concepita, ma anche una delle più testate sperimentalmente. Divulgare questa teoria è sempre una grande sfida perché è una bestia difficile da addomesticare e si rischia sempre di risultare imprecisi o completamente in errore.

Le interazioni tra i tre quark all’interno di un neutrone.
[Qashqaiilove, Wikimedia Commons]
La realtà è che c'è ben poco di intuitivo nella QCD. Tuttavia ci sono delle circostanze in cui possiamo connettere alcuni concetti con dei fatti di cui abbiamo già familiarità e intuizione nella meccanica classica. 

I Quark sono (per quanto ne sappiamo oggi) i costituenti più fondamentali della materia, conferendo una struttura ben precisa agli elementi del nucleo come protoni e neutroni (i quali sono composti ciascuno da tre quark).
Nonostante ciò è molto difficile intuire che protoni e neutroni siano composti da Quark! Infatti se ne osservano gli effetti solo a distanze sub-nucleari (o equivalentemente, ad energie sufficientemente elevate). Questa conversione tra energia e distanza è molto utile per capirsi nei discorsi che si fanno in questo campo di ricerca: dipende dal principio di indeterminazione moltiplicato per la velocità della luce:

    \[\Delta R \underbrace{\Delta p c}_{\Delta E}\sim \hbar c\]

il quale fornisce un ottimo modo per convertire da distanze \Delta R ad energia E=pc per particelle molto energetiche. La costante fondamentale \hbar c ha un valore preciso, ed è il fattore di conversione tra distanza ed energia. Invertendo la formula

    \[\Delta R\sim \frac{\hbar c}{\Delta E}\]

ne deduciamo che grandi energie corrispondono a piccole distanze, e viceversa. Tieni a mente questa informazione perchè sarà cruciale nel discorso che andremo a fare.

Tra le quattro forze fondamentali (clicca qui per un breve riassunto), i Quark interagiscono tramite l’interazione forte. Il nome non lascia spazio all’immaginazione: a parità di distanza tra due particelle ad esempio la distanza subnucleare, l’interazione forte è 100 volte più intensa di quella elettromagnetica (che a sua volta è molto più intensa della forza debole e della debolissima forza gravitazionale) il che la rende la forza più intensa in Natura.

Così come i fotoni sono i mediatori dell’interazione elettromagnetica, i gluoni (anch’essi senza massa), sono i mediatori dell’interazione forte. Tuttavia i gluoni sono delle bestioline piuttosto difficili rispetto ai fotoni.

Cominciamo dalle similitudini: avendo massa nulla, anche i gluoni si muovono alla velocità della luce.
Così come i fotoni interagiscono solo tra corpi carichi elettricamente, i gluoni interagiscono solo con particelle dotate di una speciale carica: la carica di colore. Al contrario della carica elettrica, la carica di colore è molto meno intuitiva e quantificabile, e rappresenta le “coordinate” di uno spazio astratto che caratterizza lo stato quantistico di un quark.

Se vuoi, questa carica di colore è un’estensione multidimensionale dei due stati di spin (in questo articolo viene discusso il primo esempio di isospin nucleare nella teoria di Heisenberg). Anche se non è detto che questa cosa ti sia d’aiuto, dato che neanche lo spin è intuitivo! (Vedi questo articolo per approfondire).

I fotoni interagiscono molto poco con gli altri fotoni: se fatti scontrare tra loro hanno una grande probabilità di “passarsi attraverso”. Solo a determinate scale di energia più elevate l’interazione fotone-fotone diventa non più trascurabile. Questo fatto favorisce la validità del principio di sovrapposizione delle onde elettromagnetiche, tanto caro all’ingegneria.

I gluoni, d’altra parte, interagiscono con gli altri gluoni anche a scale di energia più basse, accoppiandosi nei modi più disparati possibili. La teoria dell’interazione forte quindi non rispetta il principio di sovrapposizione: c’è ben poco di lineare e semplice nei campi gluonici.

Analogie e differenze tra interazione elettromagnetica e interazione forte.
Entrambi i mediatori hanno massa nulla e si muovono quindi alla velocità della luce.

Le stranezze della forza forte non finiscono qui. Come specificato nell’immagine precedente, l’interazione elettromagnetica ha un range infinito: due cariche elettriche non smettono mai di sentire l’una la presenza dell’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa! È l’intensità quella che varia e diminuisce con l’aumentare della separazione.
Succede lo stesso con la gravità (in tal caso la carica elettrica viene sostituita dalla massa). Il potenziale gravitazionale di una massa m posta a distanza r da una sorgente gravitazionale fissa e di massa M è proporzionale a:

    \[V_{\text{gravità}}\propto -\frac{mM}{r}\]

Il grafico della funzione ha il seguente aspetto:

Analogamente, il potenziale elettrostatico di Coulomb percepito da una carica elettrica q nel campo di una carica Q è

    \[V_{\text{e.m.}}\propto -\frac{qQ}{r}\]

Queste funzioni di r ci dicono la stessa cosa: l’interazione diminuisce all’aumentare della distanza. Dal punto di vista della fisica teorica è equivalente a dire che le interazioni diventano via via più deboli al diminuire della scala di energia, e per energie alte (cioè piccole distanze) diventano sempre più intense. Con “scala di energia” intendiamo il contenuto energetico che dobbiamo fornire al nostro esperimento per far scontrare le particelle nel nostro acceleratore.

Tutto ciò è abbastanza intuitivo: se si gioca con i poli dei geomag ci si rende presto conto che è molto difficile resistere all’attrazione di due poli opposti una volta che li si avvicina abbastanza, mentre è molto difficile avvicinare due poli uguali (in particolare più li si avvicina e più diventa difficile). Il magnetismo, naturalmente, fa parte dell’interazione elettromagnetica e si comporta proprio come ci aspettiamo.

L’interazione forte percepita dai quark è molto più controintuitiva: più i Quark sono vicini tra loro e più “si ignorano”, cioè comunicano molto meno, ovvero l’interazione è meno intensa (tutto il contrario delle interazioni a cui siamo abituati!). A questo fatto è stato dato il nome di libertà asintotica: alle alte energie i Quark si comportano come se fossero liberi. D’altra parte se allontaniamo i Quark (quindi abbassiamo la scala di energia) questi interagiscono molto di più tra loro: è la schiavitù infrarossa.

Sulla libertà asintotica Parisi è stato vicinissmo a vincere il Nobel già quando aveva 25 anni. Gli mancava solo intuire che il numero quantico giusto per descrivere l’interazione era la “carica di colore”.

Le peculiarità dei Quark

Ad oggi conosciamo 6 Quark fondamentali (cioè che non derivano da stati legati con altri Quark) a cui sono stati assegnati dei nomi precisi e di cui si conosce la massa, dal più leggero al più pesante.

I Quark up e down costituiscono la struttura interna di protoni e neutroni (nucleoni), tuttavia le loro masse contribuiscono solo a una piccola parte della massa dei nucleoni. La maggior parte della massa deriva invece dalle intricatissime interazioni e scambi energetici tra i Quark stessi, i quali comunicano incessantemente tramite gluoni.

Un’illustrazione molto schematica di quello che succede all’interno di un protone. Gli oggetti “a forma di molla” rappresentano le interazioni di scambio di gluoni.

Detto in maniera molto semplificata e fiabesca, è come se la carica di colore dei Quark accendesse la scintilla che fa scoccare un “incendio energetico” nel campo gluonico che li circonda. Questo incendio “brucia incessantemente” con un’energia E che dà luogo alla maggior parte della massa del protone tramite la celebre E=mc^2.

È sfruttando questo inferno energetico che siamo stati in grado di creare i Quark più pesanti del up e down, facendo scontrare protoni ad altissime energie che hanno rilasciato come prodotto i Quark più pesanti come il top (l’ultimo ad essere stato scoperto, nel 1995 al Fermilab di Chicago).

Dal punto di vista teorico, le complicate interazioni tra i Quark sono una conseguenza della natura relativistica delle teorie quantistiche di campo. Uno può aspettarsi che la descrizione di queste forze diventi leggermente più semplice se usciamo dal regime relativistico (cioè se consideriamo particelle abbastanza pesanti che si muovono a velocità molto più basse di quella della luce).

A noi piace tanto semplificare, quindi questo è quello che faremo! Consideriamo alcuni Quark più ciccioni, ad esempio il bottom e il charm: un sistema molto semplice da studiare in QCD è lo stato legato di quarkonio, il quale è uno stato legato tra Quark e antiQuark. Stiamo quindi parlando, nel nostro caso, dei seguenti sistemi:

  • Charmonium: stato legato di Charm e anti-Charm
  • Bottomonium: stato legato di Bottom e anti-Bottom
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Per completezza ricordiamo che un anti-Quark è la anti-particella del Quark corrispondente: ha uguale massa e numeri quantici tutti invertiti, cioè carica elettrica, carica di colore, spin etc. invertiti.

Siccome questi due Quark sono abbastanza massivi, si muvono a velocità più basse rispetto a tutti gli altri, quindi è possibile una trattazione non-relativistica in cui possiamo ignorare i discorsi di Einstein. Stiamo parlando di un’approssimazione.

Questi stati legati sono stati osservati sperimentalmente, dunque i discorsi matematici che seguono, seppur non rigorosissimi dal punto di vista teorico, sono empiricamente verificati.

Il potenziale di Quarkonio

Se r è la distanza che separa Quark e anti-Quark, l’energia potenziale di interazione è data dall’espressione (in cui a e b sono delle costanti di cui non devi preoccuparti)

    \[V_\text{quarkonio}= -\frac{a}{r}+br\]

ed ha il seguente grafico:

A piccole distanze l’interazione si comporta in modo del tutto simile a quella gravitazionale ed elettromagnetica: va giù come 1/r. Non farti però ingannare! A distanze piccolissime (cioè energie elevatissime) questo potenziale non è più una buona approssimazione di quello che sta succedendo, perché entrano in gioco gli effetti relativistici della forza forte, e la conseguenza è la libertà asintotica: invece di continuare ad aumentare infinitamente, ad altissime energie l’interazione forte inizia a indebolirsi sempre più, fino a che i Quark si ignorano del tutto.

[Nota bene: quando diciamo “piccole” o “grandi” distanze ci stiamo riferendo a qualcosa di grande o piccolo rispetto alle dimensioni subnucleari!]

D’altra parte, a grandi distanze il potenziale aumenta invece che diminuire (contrariamente a quanto succede nell’interazione gravitazionale ed elettromagnetica). Il fattore che domina questa peculiarità è parametrizzato dal termine b\,r dove b è una costante e r è la distanza. Questo termine ingloba tutto ciò che ci è difficile conoscere del regime di “schiavitù infrarossa”, regime che può essere studiato solo tramite ingegnose simulazioni al computer (campo di studi noto come QCD su reticolo).

Per capire di che tipo di forza si tratta dal punto di vista della meccanica classica, consideriamo un potentiale molto simile: quello di una molla! Se allunghiamo o accorciamo una molla di una distanza r, il potenziale ha la seguente forma:

    \[V_{\text{molla}}=\frac{1}{2}kr^2\]

dove k è la costante elastica. Confrontiamo ora la forma dei due potenziali nel regime di schiavitù infrarossa (cioè a distanze molto grandi in modo che il termine 1/r risulti trascurabile):

Un tipico eleastico.

Stiamo cioè confrontando una retta con una parabola: entro una certa distanza l’interazione di Quarkonio è più intensa di quella che si avrebbe se fosse puramente elastica, mentre superata una certa soglia, l’interazione elastica diventa più elevata. Quindi lo stato legato di Quarkonio a basse energie ha un’intensità che somiglia un po’ a qualcosa che richiama l’interazione elastica tra due corpi. Tuttavia, a differenza della molla, dal punto di vista classico la forza F=ma non dipende dalla distanza, mentre nella molla vi dipende come F=-kx.

D’accordo, magari la molla non è un’approssimazione ottimale, ma è comunque un buon punto di partenza. In realtà è possibile dimostrare che l’andamento della forza di Quarkonio è molto più simile a quella caratteristica degli elastici! Se prendi un elastico per capelli e lo allunghi di una distanza L, l’energia potentiale di richiamo che stai accumulando risulta proporzionale alla distanza L, esattamente come l’energia potenziale del Quarkonio a grandi distanze!


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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la specializzazione in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, studia simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard, interessandosi anche di Relatività Generale.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Pontecorvo, il fisico italiano a cui negarono il Nobel

Bruno Pontecorvo (Marina di Pisa 1913- Dubna 1993).

La storia della scienza è cosparsa di scandali riguardanti la negazione di premi importanti a scienziati meritevoli per le più disparate ragioni.

Nel caso di Bruno Pontecorvo (a cui fu negato il Nobel per la Fisica del 1988) le ragioni erano prettamente politiche. In questo articolo dimostriamo perché questo debba ancora oggi risuonare come un vero e proprio scandalo scientifico.

Il “cucciolo” di via Panisperna

Nato a Marina di Pisa nel 1913, Bruno era una persona timida e la sua natura si distingueva da quella degli altri componenti dei gruppi di ricerca poiché, oltre a mostrare grandi doti come fisico sperimentale e teorico, era evidente in lui il profilo di abile fenomenologo, ossia una grande capacità di approfondire applicazioni e ipotesi di lavoro [1].

“A questa opinione soprattutto, io credo, devo la mia timidezza, un complesso di inferiorità che ha pesato su di me per quasi tutta la vita” 

Bruno Pontecorvo

Pontecorvo si riferiva alla seguente opinione che secondo lui i suoi genitori avevano sui loro figli: “il fratello Guido era considerato il più intelligente, Paolo il più serio, Giuliana la più colta e lui, Bruno, il più buono ma il più limitato, come dimostravano i suoi occhi, buoni ma non intelligenti.

Si può dire che Pontecorvo usufruì dell’istruzione universitaria più eccellente che ci fosse: fu ammesso al corso di Fisica sotto la guida di Enrico Fermi e Franco Rasetti nel 1931, all’età di 18 anni, entrando di diritto nel celebre gruppo dei ragazzi di via Panisperna (fu soprannominato “il cucciolo” per la sua giovane età).

Collaborò quindi alla ricerca sul bombardamento dei nuclei usando neutroni come proiettili, e nel 1934 si accorse assieme ad Edoardo Amaldi che la radioattività indotta da bombardamento di neutroni era circa cento volte più intensa se i neutroni attraversavano prima un filtro di paraffina (Fermi spiegò che questo era per via dell’idrogeno contenuto nel materiale, il cui effetto rallentava i neutroni, aumentando la loro efficacia nel bombardamento). Questa scoperta segnò uno step epocale per la ricerca sull’energia nucleare e valse il Nobel del 1938 ad Enrico Fermi, che ne spiegò il funzionamento.

Dopo il periodo romano, la sua vita fu molto movimentata e ricca di eventi di interesse storico (ricordiamo che Pontecorvo era ebreo).

  • Nel 1936 grazie a una raccomandazione di Fermi, collaborò a Parigi con Frédéric e Irène Joliot-Curie (rispettivamente genero e figlia di Pierre e Marie Curie e vincitori nel 1935 del premio Nobel per la scoperta della radioattività artificiale). Fu nell’effervescente ambiente parigino che iniziò a interessarsi di politica. In particolare si iscrisse al PCI nel 1939.
  • Dopo l’invasione della Francia da parte dei tedeschi, Pontecorvo scappò da Parigi in bicicletta e con un rocambolesco viaggio fatto di varie tappe in treno, raggiunse Lisbona. Da qui si imbarcò per gli Stati Uniti.
  • Nei primi anni ’40 lavorò per una compagnia petrolifera in Oklahoma, dove viveva con la famiglia. Qui applicò per la prima volta la tecnica dei neutroni lenti scoperta dai ragazzi di via Panisperna e inventò la tecnica del “carotaggio neutronico dei pozzi di petrolio“.
  • Nel 1943 si trasferì in Canada per lavorare in un laboratorio che si occupava di raggi cosmici. Fu qui che iniziò il suo studio dei neutrini alle alte energie.
  • Dopo aver lavorato in inghilterra, scappò in Russia con la famiglia nell’estate del 1950 senza avvertire nessuno. Per superare la cortina di ferro i Pontecorvo si divisero: moglie e figli su un’automobile, Bruno nascosto nel bagagliaio di un’altra. 
    Nell’URSS continuò le sue importanti ricerche di fisica delle particelle in un laboratorio di Dubna.

Cosa si capiva, all’epoca, dei neutrini

Per poter dire che “capiamo” tutto di una particella dobbiamo essere in grado di affermare quali siano i suoi numeri quantici, e di solito ci si concentra su questi tre:

  • Carica elettrica
  • Spin
  • Massa

Dei neutrini conosciamo con precisione solo i primi due: sono elettricamente neutri (infatti non interagiscono con la forza elettromagnetica) ed hanno spin 1/2, mentre sorprendentemente non sappiamo ancora con precisione il valore della loro massa. Sappiamo solo che non può essere più grande di un numero molto piccolo, per via delle evidenze sperimentali. All’epoca di Pontecorvo si supponeva che non avessero massa.

Dallo studio dei raggi cosmici (ed in particolare del decadimento del muone) Pontecorvo iniziò a intuire una similitudine tra quanto osservato e una teoria del suo vecchio Maestro: la teoria del decadimento \beta di Enrico Fermi (clicca qui se vuoi saperne di più). In una lettera a Giancarlo Wick del 1947 scrisse:

Deep River, 8 maggio 1947

Caro Giancarlo (…) se ne deduce una similarità tra processi beta e processi di assorbimento ed emissione di muoni, che, assumendo non si tratti di una coincidenza, sembra di carattere fondamentale.

Bruno Pontecorvo

La scoperta di questa analogia fu uno degli step fondamentali che condusse all’introduzione di una nuova forza della natura: la teoria di Fermi passò dall’essere una semplice teoria fenomenologica ad una interazione fondamentale che si andava a sommare alle due già esistenti all’epoca: gravità ed elettromagnetismo.

La questione del neutrino rimaneva invece un vero mistero, specialmente la questione se avesse una massa o meno.
È di fondamentale importanza riuscire a determinare la massa di una particella. Nel Modello Standard la massa è spesso l’unico numero quantico che permette di distinguere tra due particelle che hanno gli altri numeri quantici uguali.

Ad esempio il muone e l’elettrone sono due particelle elementari con la stessa carica elettrica e lo stesso spin, ma il muone è circa 200 volte più pesante dell’elettrone ed è proprio ciò che ci permette di distinguerli nella maggior parte dei casi. Allo stesso modo il tau è la terza “sorella” di muone ed elettrone (fu scoperta nel 1975), in quanto ha stessa carica e stesso spin, ma massa pari a circa 18 volte quella del muone.
Queste tre particelle furono raggruppate in un trio chiamato “leptoni carichi”.

Elettrone, Muone e Tau: le tre particelle “sorelle” del Modello Standard costituiscono la famiglia dei leptoni carichi.

Per spiegare i risultati sperimentali degli anni ’30 e ’50, si associò a ciascun leptone carico (elettrone, muone e tau) un neutrino di tipo corrispondente. Infatti si dimostrò che in ciascun processo di interazione debole di un leptone carico compariva sempre un neutrino, di conseguenza:

  • All’elettrone venne associato un neutrino-elettronico: \nu_e
  • Al muone venne associato un neutrino-muonico: \nu_\mu
  • Al tau venne associato un neutrino-tau: \nu_\tau

Quindi anche i neutrini sono considerati dei leptoni, solo che hanno carica elettrica nulla. Assieme ai leptoni carichi costituiscono i 6 leptoni del Modello Standard.

Fu proprio Bruno Pontecorvo a suggerire questo raggruppamento in famiglie di “sapore”: sapore elettronico, sapore muonico e sapore tauonico. Ipotizzò questa teoria già nel 1947, ma la pubblicò con una dimostrazione rigorosa solo nel 1957.

La distinzione tra leptoni carichi e leptoni neutrini. Nell’immagine i leptoni dello stesso colore appartengono allo stesso “sapore”.

La cosa importante da capire è che siamo in grado di distinguere un neutrino \nu_e da un neutrino \nu_\mu o da un neutrino \nu_\tau: basta guardare qual è il leptone carico coinvolto nelle interazioni (rare) di questi neutrini!

Il modo in cui siamo in grado di dire quale dei tre neutrini stiamo considerando: basta guardare i leptoni carichi che escono fuori dalle interazioni del neutrino con la materia.

In questo senso si parla di conservazione del sapore leptonico: un neutrino di sapore “muonico” è sempre associato, in un’interazione debole, a un muone. Se c’era un sapore elettronico all’inizio, dovrà esserci un sapore elettronico anche alla fine.

Purtroppo, l’acceleratore di particelle di Dubna non era abbastanza potente per verificare le teorie di Pontecorvo sul sapore leptonico. Soltanto pochi anni dopo, agli inizi degli anni Sessanta, gli americani Leon Ledermann, Melvin Schwartz e Jack Steinberger confermarono sperimentalmente le ipotesi del fisico italiano.


Questa scoperta valse ai tre fisici il premio Nobel per la Fisica nel 1988 per “il metodo del fascio di neutrini e la dimostrazione della struttura doppia dei leptoni attraverso la scoperta del neutrino muone”, suscitando lo scalpore di una parte della comunità scientifica internazionale per l’esclusione del fisico teorico italiano che per primo effettuò la previsione parecchi anni prima.

Le oscillazioni di sapore

Pontecorvo continuò il suo studio pionieristico dei neutrini e, in collaborazione con il fisico teorico Vladimir Gribov, nel 1969 presenta in dettaglio il formalismo matematico della teoria delle oscillazioni, che fu proposto come soluzione al problema dei neutrini solari sorto negli esperimenti del 1968.
Pontecorvo sosteneva che i neutrini dovessero avere una massa, seppur piccola, e che questo fosse la spiegazione per il problema dei neutrini solari.

La spiegazione di Pontecorvo si rivelò corretta: alla fine del secolo scorso si scoprì che i neutrini sono in grado di cambiare sapore leptonico durante il loro viaggio tra due punti dello spazio, e fu proprio questo fatto ad evidenziare che i neutrini dovevano avere una massa: senza una massa non è possibile questa oscillazione tra sapori!

Ciò che stupisce è che rispetto alle altre particelle i neutrini hanno una massa così piccola che è difficile da misurare.
Gli esperimenti ci consentono solo di porre dei limiti superiori sempre più piccoli. Per dare un’idea, l’elettrone ha una massa di mezzo milione di elettronvolt, mentre si stima che quella dei neutrini sia inferiore a un solo elettronvolt. Se l’elettrone è considerato la particella carica più leggera del Modello Standard, i neutrini sono davvero dei pesi piuma.

L’oscillazione rompe la conservazione del sapore leptonico!

Ad esempio da un processo debole che coinvolge un elettrone (rivelabile) sappiamo che sbucherà fuori un \nu_e, il quale, dopo una certa distanza, si tramuterà in un \nu_\mu, il quale interagirà facendo comparire un muone, che sarà a sua volta rivelabile e ci permetterà di dire che questa oscillazione è effettivamente avvenuta!

Per spiegare questo effetto vengono introdotti gli “stati di massa” dei neutrini, chiamati \nu_1,\nu_2,\nu_3 a cui vengono associate le masse m_1,m_2,m_3. Ciascun stato di massa “contiene” al suo interno i tre sapori dei neutrini \nu_e,\nu_\mu,\nu_\tau in proporzioni che possono essere studiate sperimentalmente.
Graficamente abbiamo quindi tre neutrini ciascuno contenente al suo interno il mixing di sapori:

Gli autostati di massa dei neutrini con al loro interno i mixing dei sapori.
Celeste: \nu_e, Marroncino: \nu_\mu, Grigio: \nu_\tau.

Questo mixing avviene nel senso quanto-meccanico di sovrapposizione di stati: ciascuno stato di massa è una sovrapposizione delle funzioni d’onda dei sapori leptonici e,\mu,\tau.

Ad esempio dalla figura leggiamo che sperimentalmente è stato verificato che lo stato \nu_1 contiene per la maggior parte il sapore elettronico \nu_e (indicato in blu), mentre il sapore tau \nu_\tau è presente solo in minima parte.

Essendo tutto ciò un effetto quanto-meccanico, a ogni oscillazione tra sapori è associata una certa probabilità che sarà tanto più elevata quanto più grande è il mixing tra sapori negli stati di massa. Questa probabilità è verificabile sperimentalmente: basta chiedersi “se nel punto di partenza ho N neutrini di tipo \nu_e, quanti neutrini di tipo \nu_\mu mi ritroverò a una certa distanza dal punto di partenza?”

Ad esempio la probabilità che un neutrino \nu_e si trasformi in un neutrino \nu_\mu è data dalla seguente formula:

Vengono chiamate “oscillazioni” perché la probabilità dipende da un seno al quadrato, il quale rappresenta graficamente un’oscillazione nelle variabili L,E,\Delta m^2.

in cui \theta è un parametro del Modello Standard che è stato misurato sperimentalmente (e definisce il grado di mixing dei due sapori in questo caso). D’altra parte \Delta m^2=m_2^2-m_1^2 riguarda la differenza tra i quadrati delle masse di \nu_2 e \nu_1, mentre L è la distanza a cui hanno viaggiato i neutrini prima di essere rivelati, ed E è la loro energia.
Nota bene che se questi neutrini avessero la stessa massa, e cioè \Delta m^2=0, non si potrebbero avere oscillazioni (la probabilità sarebbe nulla perché il seno di zero fa zero).

Ad esempio è molto più probabile che un \nu_e si trasformi in un \nu_\mu quando l’argomento del seno è vicino al punto in cui il seno ha un massimo, e cioè in prossimità di 90^{\circ} (o in radianti pi/2), e cioè quando

Da questa formula è possibile capire a che valore del rapporto L/E si è più sensibili per rivelare un’oscillazione da \nu_e in \nu_\mu. Si può quindi ottenere una stima di \Delta m^2.
Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

Studiando l’andamento dell’oscillazione con L/E si può quindi ricavare \Delta m^2 proprio da questa formula.

La differenza tra le masse dei neutrini \nu_2 e \nu_1 è minuscola, ma comunque calcolabile dai dati sperimentali. Allo stesso modo è stata calcolata la differenza tra le masse quadre di \nu_3 e \nu_2, e da ciò si può ricavare la differenza tra le masse quadre di \nu_3 e \nu_1.
Conosciamo solo queste \Delta m^2, ma non i valori singoli di m_3,m_2,m_1, che frustrazione, eh?

Misurando il numero di eventi di neutrini di un certo sapore ad alcuni valori del rapporto L/E si possono ricavare i valori sperimentali di \theta e \Delta m^2. Questo è proprio ciò che si fa da qualche decina di anni: la teoria delle oscillazioni è verificata con un alto grado di accuratezza.

I Nobel dei neutrini

La Fisica dei neutrini inaugurata da Pontecorvo ha portato a ben quattro premi Nobel, ma nessuno è stato vinto da lui. Tre di questi furono però assegnati solo dopo la morte di Pontecorvo (1993), il più recente risale al 2015. L’unico che sarebbe doveroso reclamare per la memoria del fisico teorico italiano sarebbe quello del 1988, inspiegabilmente assegnato ad altri se non per questioni politiche.

Pontecorvo rimane uno dei fisici con il numero di previsioni azzeccate più alto e allo stesso tempo un numero di riconoscimenti piuttosto irrisorio (vinse comunque il premio Lenin nel 1963).

Ciò che fa restare stupiti è la precocità delle sue idee: il campo dei neutrini è particolarmente infelice perché essendo questi così poco interagenti, la loro rivelazione può aversi solo grazie a esperimenti particolarmente costosi e avanzati, spesso traslati di almeno 30-40 anni nel futuro rispetto alla loro teorizzazione. Pontecorvo elaborò negli anni ’60 quasi tutta la fisica dei neutrini che utilizziamo ancora oggi e che ha trovato conferma solo negli ultimi 30 anni.

Se mai inventassero un Nobel postumo, uno dei primi a riceverlo dovrebbe essere Pontecorvo.
[1] Fonte principale: “Il fisico del neutrino”- Jacopo De Tullio.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la laurea specialistica in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, studia simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard, interessandosi anche di Relatività Generale.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

L’intrigante “carattere discriminatorio” del bosone di Higgs

Immagina di reincarnarti in una particella elementare in un istante tra i 10^{-36} e i 10^{-12} secondi dopo il Big Bang.

L’universo ha un aspetto molto diverso da quello odierno, c’è tantissima confusione, un viavai di interazioni, come un vociare assordante.
La sensazione che provi è molto singolare, sei capace di individuare solo il momento in cui “appari” e il momento in cui “scompari”, ma nemmeno riesci a distinguere l’uno o dall’altro. Il problema è che ti muovi alla velocità della luce dato che, come tutte le altre particelle dell’universo, non hai massa. Per questo la tua percezione del tempo è assolutamente insensata, in accordo con le leggi della Relatività Ristretta.

In qualche modo sembra che il momento in cui appari e scompari dall’esistenza sia sempre accompagnato dalla presenza di una particella praticamente identica a te, o almeno questo è ciò che ti ricordi.

Ora i tempi sono cambiati (cambia tutto piuttosto in fretta quando passi da 10^{-36} a 10^{-12} secondi dopo il Big Bang). Ti accorgi che gli eventi iniziano ad avere una forma, tra un inizio e una fine c’è anche un presente.


Sei stata “rallentata” da qualcosa, e inizi a sentire il peso dello scorrere del tempo: non ti muovi più esattamente alla velocità della luce. Tra tutto quel vociare non riesci a prendere coscienza di cosa sia successo, pare che nessuno si sia accorto troppo del cambiamento, eppure inizi a riconoscere che le altre particelle non si comportano tutte come te, alcune sembrano interagire con le altre in un modo molto diverso dal tuo.

Ti viene in mente che questo possa essere connesso con l’esistenza di almeno due interazioni fondamentali diverse.

Inizi a raccogliere qualche indizio: ogni volta che scompari dall’esistenza è sempre coinvolta almeno un’altra particella. Dopo qualche tempo sei capace di individuare che esistono altre due particelle (che chiami signor “Mu” e signor “Tau”) che fanno le stesse cose che fai tu, e anche qualche particella identica a te e che per qualche motivo fa sempre il contrario di quello che fai tu.

Il signor Ni rappresenta il neutrino elettronico.

Non appena il vociare primordiale inizia a calmarsi, inizi a distinguere uno strano ronzio nelle tue orecchie “particellari”. Somiglia giusto a un timido bisbiglio, ed inizi a capire di star rallentando sempre di più la tua corsa frenetica tra un’esistenza e un’altra, forse per via di qualcosa che genera anche questo strano bisbigliare?

Decidi di chiedere informazioni a una delle particelle simili a te. C’è una particella in particolare che abbastanza spesso decide di scambiare qualche parola con te, solo che hai difficoltà a capirla perché è leggermente più frenetica. L’hai soprannominata affettuosamente “Ni”. Di solito “Ni” sembra non avere molto tempo da perdere dietro a domande sciocche come la tua, quindi decidi di chiedere al tuo vicino, il signor Mu.

L’elettrone sente molto più debolmente le interazioni con l’Higgs, al contrario delle sue cugine \mu e \tau.

Il signor Mu sembra leggermente meno frenetico, e si comporta esattamente come te: avete delle personalità così identiche che quasi vi disgustate reciprocamente, quindi di solito circolate un po’ lontano l’uno dall’altra. Tuttavia hai bisogno di informazioni, e ti prometti di parlargli non appena vi scontrerete di nuovo.

Il signor Mu ammette di essere sorpreso che tu ci abbia messo così tanto ad accorgerti del ronzio, lui lo percepisce 200 volte più forte di te.
Sa anche darti qualche informazione in più, perché di recente ha parlato con il signor Tau, il quale percepisce lo stesso ronzio quasi 20 volte più forte di lui.

Per il signor Tau non si tratta di un ronzio, ma di alcune interessantissime comunicazioni da parte del signor “H” , le quali lo invogliano a rallentare la sua corsa frenetica tra un punto e l’altro della sua esistenza, pur di ascoltare con maggiore attenzione ciò che il signor H ha da dirgli.
Non fai in tempo a fare altre domande che il signor Mu svanisce improvvisamente, lasciando il posto ad altre particelle, tra le quali riconosci il tuo amico Ni accompagnato dalla tua copia sputata.

Rimani un po’ perplesso/a dalla spiegazione del signor Mu. Pensavi fosse abbastanza scontato che te, Mu e Tau foste particelle molto simili. Perché mai il signor H si ostina a non volerti parlare a voce più alta? Perché senti a malapena un ronzio in confronto alle interessanti disquisizioni percepite da Mu e Tau?


Perché Mu e Tau svaniscono all’improvviso dopo così poco tempo, e tu sembri restare sempre la stessa, noiosa particella?

Il tempo passa e l’universo diventa più silenzioso. Ti ritrovi sempre più vicina ad altre particelle identiche a te, e inizi a condurre un’esistenza sempre più monotona, assuefatta dalle delicate parole di un interessante signore che qualcuno chiama “Nucleo”, il quale ti invita a stargli vicino.

François Englert e Peter Higgs, premi Nobel per la Fisica 2013, tra gli inventori del meccanismo che dà la massa alle particelle del Modello Standard tramite il campo di Higgs.

Impari che anche le altre particelle identiche a te non riescono a sentire nulla più di un ronzio da parte del signor H, e quindi capisci di appartenere a un’intera famiglia di particelle che sono un po’ “discriminate“.

Questo è uno degli aspetti più intriganti del Modello Standard: il modello non spiega perché il campo di Higgs interagisce più intensamente con alcune particelle e molto, molto più debolmente con altre.

In principio l’elettrone (la particella in cui ti sei reincarnato/a), il muone il tau sono creati praticamente uguali, sono tre cugini con uguale carica elettrica, spin e altri numeri quantici di interazione. Sono distinte giusto da un “cognome” di famiglia, appunto: “e”, “\mu” e “\tau“.

Elettrone, Muone e Tau: le tre particelle “cugine” del Modello Standard costituiscono la famiglia dei leptoni carichi.

Dopo la rottura di simmetria elettrodebole (per la quale rimando al mio articolo), elettrone muone e tau acquistano una massa per via dell’interazione con il campo di Higgs.
Come funziona? L’interazione si scrive in un modo molto simile a questo (le “interazioni” del Modello Standard sono la scorciatoia per dire che due campi appaiono moltiplicati tra loro nelle equazioni del modello, o moltiplicati per un mediatore comune ad entrambi):

Maggiore è la y (chiamata costante di Yukawa), maggiore è la massa acquistata dalla particella per via del campo di Higgs.
Le masse delle particelle elementari del Modello Standard. L’altezza dei parallelepipedi rappresenta la loro massa.

Il tau interagisce molto con l’Higgs, quindi la sua massa è molto più elevata di quella di muone ed elettrone. L’elettrone è quello che prende meno massa. Quanta meno? Tanta. Circa 0.3 millesimi di quella del tau, e 5 millesimi di quella del muone.

La storia non finisce qui: la particella elementare più massiva (il quark top) ha una massa che è quasi 100 volte quella del tau. Perché tutto questo “classismo” da parte del campo di Higgs? Perché sembra comunicare di più con alcune particelle e molto meno con altre?

La faccenda diventa quasi tragicomica nel caso dei neutrini (il famoso amico “Ni” della tua esperienza post-Big Bang). Si stima che la massa di un neutrino sia a sua volta quasi dieci miliardesimi di quella dell’elettrone. Questo aspetto ha suscitato uno scalpore tale da suggerire che il meccanismo di generazione della massa dei neutrini sia leggermente diverso da quello delle particelle “standard”. In particolare, il neutrino acquista massa grazie a processi sempre mediati dall’Higgs, ma che ricevono contributi da particelle non ancora osservate, che dovevano esistere da qualche parte nei primi istanti dopo il Big Bang.

Come possiamo accettare una tale differenza di trattamento? Come è possibile non restare intrigati dal carattere discriminatorio del campo di Higgs? Perché anche tra particelle praticamente del tutto simili come elettrone, muone e tau alle alte energie, c’è tutta questa discriminazione?

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Questa è una parte dei compiti della fisica teorica di questo secolo. Non penserai mica che dopo la scoperta del bosone di Higgs nel 2012 siano finiti i suoi misteri? Assolutamente no, anzi si sono moltiplicati. Il bosone di Higgs (simbolo del trionfo intellettuale della fisica teorica del secolo scorso, e del trionfo sperimentale e tecnologico del secolo corrente) è un punto di partenza, non un punto di arrivo.

Il problema della gerarchia delle masse dei leptoni carichi e dei quark rimane ad oggi un mistero per il quale sono state presentate diverse soluzioni teoriche che dovranno superare i test sperimentali del prossimo secolo.
Chi vivrà, vedrà.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in Simmetrie di Sapore dei Neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Quando Heisenberg propose che Protone e Neutrone fossero due stati della stessa particella

Nel 1932 James Chadwick scoprì una nuova particella, era elettricamente neutra e aveva circa la stessa massa del protone. Essendo la prima particella neutra scoperta, venne battezzata “neutrone” per ovvi motivi.

Werner Heisenberg (1901-1976), premio Nobel per la Fisica 1932.

Meno ovvia era invece la natura intrinseca di questa particella, specialmente in un epoca dicotomica come quella, anni in cui protone ed elettrone erano lo yin e lo yang della fisica particellare. Tutto doveva essere composto di pochissimi costituenti elementari: il protone e l’elettrone rappresentavano l’unità di carica positiva e negativa per antonomasia.

Quindi ogni altra particella di qualsiasi carica doveva essere una composizione di protoni ed elettroni. Ah, se solo i fisici di quegli anni avessero potuto immaginare il gigantesco zoo di particelle che sarebbe apparso solo 20 anni dopo!

Sempre nel 1932 il fisico teorico Werner Heisenberg (lo stesso del famoso principio di indeterminazione) fu uno dei primi a lavorare su una interpretazione teorica del neutrone. Il suo obbiettivo era una teoria delle interazioni nucleari (materia su cui si sapeva ancora pochissimo e le idee erano molto confuse). Si cercava di rispondere a domande come: cosa compone i nuclei? Da cosa sono tenuti assieme? Come si possono modificare o trasformare?

Addirittura prima del 1932 si credeva che i nuclei fossero composti da protoni ed elettroni (i secondi avevano lo scopo di neutralizzare parte della carica del nucleo), cosa che non poteva essere più distante dalla realtà.

Fu Heisenberg a introdurre un po’ di ordine: sfruttò subito la scoperta del neutrone per inserirlo all’interno dei nuclei. In questo modo non servivano gli elettroni dentro il nucleo: invece di mettere il doppio dei protoni era sufficiente che ce ne fosse solo la metà che corrisponde alla carica elettrica nucleare, la restante parte della massa che serviva a raggiungere l’accordo con gli esperimenti era garantita dalla presenza di alcuni neutroni.

Si spiega più semplicemente guardando questo esempio:

Lo stesso nucleo descritto prima e dopo la scoperta del neutrone.
Prima del 1932, al fine di spiegare la massa misurata sperimentalmente era necessario introdurre il doppio dei protoni. Ma per compensare la carica elettrica in eccesso si doveva postulare la presenza di elettroni nel nucleo.

In ogni caso Heisenberg aveva anche l’obbiettivo di provare a interpretare la natura del neutrone utilizzando lo “yin e lo yang”. D’altronde questa particella aveva lo stesso spin e circa la stessa massa del protone, saranno mica così diversi?
Immaginò quindi che il neutrone potesse essere composto da un protone e da una specie di “elettrone con spin nullo”. In questo modo carica positiva più carica negativa fa zero, e lo spin (che è 1/2 per il protone) sommato con lo spin zero di quella specie di elettrone ipotetico, faceva correttamente 1/2.

Questa teoria fu abbandonata quasi subito, ma l’elettrone e il suo spin rimasero comunque la principale fonte di ispirazione per il vero guizzo creativo di Heisenberg.

Anzitutto il fisico si soffermò su un aspetto peculiare:

Le masse di protone e neutrone sono quasi uguali: differiscono solo dello 0.14%.

In particolare, Heisenberg notò che se in un esperimento la strumentazione di laboratorio non fosse abbastanza sensibile da distinguere questa differenza in massa, e se fossimo in grado di “spegnere” ogni tipo di interazione elettromagnetica, non saremmo nemmeno in grado di distinguere un protone da un neutrone!

Anzi, Heisenberg fece un passo ancora più lungo: la piccolissima differenza in massa tra protone e neutrone può essere ricondotta all’elettromagnetismo: il protone, essendo carico elettricamente, riceve dei contributi elettromagnetici che abbassano leggermente la sua massa rispetto a quella del neutrone (così si pensava all’epoca).

Come anticipato, Heisenberg prese ispirazione dal problema dello spin di un elettrone.
Già dagli anni ’20 si sapeva che lo spin di un elettrone era una quantità speciale che poteva assumere solo due valori distinti, per convenzione +1/2 e -1/2.

Una rappresentazione grafica dei due possibili valori di spin dell’elettrone.

Lo spin era un numero quantico aggiuntivo che serviva a distinguere i possibili stati occupabili dagli elettroni negli orbitali atomici, e aveva a che fare con il comportamento degli elettroni in un campo magnetico.

In particolare si osservava che sotto l’azione di un campo magnetico gli atomi di un gas sviluppavano dei livelli energetici (sovrapposti a quelli già presenti) che prima non c’erano, segno che gli elettroni avevano interagito, tramite il loro spin, con questo campo magnetico: in base ai due possibili valori dello spin degli elettroni si ottenevano due nuovi livelli energetici molto vicini tra loro (vedi Effetto Zeeman).

In sostanza è come se una certa variabile nascosta (lo spin dell’elettrone) fosse venuta allo scoperto solo durante l’interazione elettromagnetica con il campo esterno.
Un fisico, per spiegare la separazione dei livelli energetici, avrebbe dovuto anzi postulare l’esistenza di questo nuovo numero quantico, e assegnargli precisamente due valori possibili.

Detto ciò, ad Heisenberg bastò tenere a mente la celebre equazione per l’energia a riposo di una particella, dovuta ad Einstein (E=mc^2 ) per fare un collegamento molto interessante: la piccola differenza in massa (\Delta m) tra protone e neutrone si traduce in una certa differenza in energia:

    \[\Delta E=\Delta mc^2\]

A suo dire, questa differenza in energia era dovuta all’interazione elettromagnetica, allo stesso modo in cui la differenza in energia di due livelli atomici nell’effetto Zeeman era dovuta all’interazione con il campo magnetico.

Nel caso dell’effetto Zeeman, il tutto era spiegabile con l’introduzione di un nuovo numero quantico, lo spin.
Prima dell’accensione del campo magnetico, il livello energetico è lo stesso, dopo l’accensione, il livello si separa in due livelli.

Protone e neutrone potevano essere pensati come lo stesso livello energetico, la cui separazione è indotta (secondo Heisenberg) dalle interazioni elettromagnetiche!

L’analogia è evidenziata in questa figura:

Analogia tra effetto Zeeman e la teoria di Heisenberg su protone e neutrone.

Doveva allora esserci un nuovo numero quantico interno in grado di distinguere protone e neutrone durante i normali esperimenti, proprio come lo spin.

I fisici dell’epoca chiamarono isospin questo nuovo numero quantico, proprio per via dell’analogia con lo spin. In questo modo protone e neutrone non erano altro che due stati diversi della stessa particella, la quale fu battezzata nucleone. Per convenzione, al neutrone venne assegnato isospin -1/2 e al protone +1/2.

Heisenberg sfruttò l’isospin per costruire una delle prime teorie sull’interazione nucleare. Il fisico tedesco sapeva bene che la forza nucleare doveva essere ben diversa da quella elettromagnetica fino ad allora conosciuta. Doveva essere una forza attrattiva, certo, se no il nucleo come fa a stare assieme? Però il tipo di attrazione non poteva essere simile a quello elettromagnetico.
Ciò era evidenziato da fatti sperimentali: proprio in quegli anni venivano condotti degli studi sulle energie di legame dei nuclei, e si scoprì che queste non crescevano come sarebbero cresciute se l’interazione nei nuclei fosse stata elettromagnetica.

La differenza tra il comportamento nucleare e quello elettromagnetico.

Inoltre, i dati sperimentali suggerivano che la carica elettrica del protone non influiva quasi per niente sui livelli energetici del nucleo. Quindi secondo Heisenberg i nucleoni contenuti all’interno dei nuclei dovevano interagire in maniera molto speciale, non tramite forze di tipo puramente coulombiano, ma tramite quelle che chiamò forze di scambio.

Queste forze di scambio potevano essere parametrizzate tramite degli operatori di isospin, del tutto simili agli operatori di spin della meccanica quantistica, i quali governavano le interazioni spin-obita e spin-spin tra i vari costituenti dell’atomo.

In questo formalismo lo stato quantistico di protone o neutrone poteva essere indicato con un vettore a due componenti:

Ma in realtà i nomi “protone” e “neutrone” divengono dei segnaposto per parlare di due stati della stessa particella: stato “isospin in alto” e stato “isospin in basso” (nota come ciò si traduce nella posizione del numero 1 nella componente alta e bassa del vettore).

Nella teoria delle forze di scambio nucleare non è possibile distinguere tra protone e neutrone, cioè la teoria, globalmente, “non distingue” tra la carica elettrica del protone e quella del neutrone. Vengono visti come due facce della stessa medaglia, e sono interscambiabili senza che cambi nulla.

In questo senso si parla di simmetria di isospin delle forze nucleari

Per capire meglio come funziona questa teoria occorre fare un ripasso di algebra lineare in due dimensioni.

Un vettore 2D può essere rappresentato sul piano cartesiano (x,y) come una freccia uscente dall’origine:

La rappresentazione cartesiana del vettore (1,1). Le sue componenti sono v1=1 sull’asse x, e v2=1 sull’asse y.

Ad esempio per costruire un vettore di componenti (1,1), cioè v_1=1 sull’asse x, e v_2=1 sull’asse y, parto dall’origine e mi sposto di 1 sull’asse x, poi mi sposto di 1 sull’asse y. Il punto in cui arrivo è la testa del vettore. Collegando la testa con la coda (cioè l’origine) ottengo una linea diagonale che chiamo “vettore”.
Un vettore può essere trasformato da una matrice usando la seguente ricetta di composizione:

Il risultato della trasformazione di un vettore è un nuovo vettore le cui componenti possono essere ottenute dalla ricetta contenuta nella matrice.

Il vettore trasformato ha le sue componenti che nascono mischiando le componenti del vettore di partenza, secondo una particolare ricetta descritta dalla matrice-operatore.
Anche il non fare niente è una trasformazione: prende il nome di matrice identità, la sua azione mi fa ottenere di nuovo il vettore di partenza. Puoi verificare anche tu con la ricetta data sopra che il seguente calcolo lascia invariato il vettore di partenza:

La matrice identità lascia il vettore invariato.
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Infatti in questo caso l’operatore è tale che a_1=1, \,\,a_2=0\,\, a_3=0,\,\,a_4=1, e sostituendo nella ricetta di sopra otteniamo proprio che il vettore rimane invariato.

Per passare da uno stato all’altro del nucleone, cioè da protone a neutrone, si utilizzano gli operatori di salita e di discesa chiamati \tau_+ e \tau_{-}, le quali sono matrici 2\times 2 che agiscono sui vettori proprio come abbiamo visto sopra.

Puoi fare il conto anche tu e verificare che:

Trasformazione di un protone in un neutrone
Trasformazione di un neutrone in un protone

In generale lo stato di un nucleone è parametrizzato dalla sovrapposizione degli stati di protone e neutrone:

Lo stato più generico di un nucleone. \alpha e \beta sono parametri costanti.

Nella teoria di Heisenberg l’interazione tra due nucleoni deve tenere conto dei loro possibili stati di isospin. In particolare in un processo generico deve conservarsi l’isospin totale dei due nucleoni. La richiesta di questa conservazione permetteva di fare alcune previsioni su alcuni nuclei leggeri per mezzo di calcoli piuttosto semplici.

Alla fine la simmetria di isospin serviva a questo, era una semplificazione per i calcoli: tra tutte le possibili interazioni tra i nucleoni sono permesse solo quelle che conservano l’isospin totale, mentre vanno scartate tutte le altre.

Una simmetria imperfetta

La teoria dell’isospin di Heisenberg fu un buon colpo di genio, ma si rivelò piuttosto insoddisfacente a lungo andare. La verità è che a livello subnucleare protone e neutrone hanno una massa ben distinta! Ciò non è dovuto solo all’interazione elettromagnetica, ma anche alla composizione in quark di protone e neutrone (inutile dire che all’epoca di Heisenberg non si conoscevano i quark).

Se avessero masse uguali allora la simmetria di isospin sarebbe perfetta, quindi l’isospin sarebbe un numero quantico al pari dello spin degli elettroni. Questa differenza nella massa fa sì che la simmetria sia imperfetta, cioè consente di fare previsioni corrette solo entro un certo grado di approssimazione.

Nonostante ciò, l’idea delle simmetrie interne (come l’isospin) cambiò per sempre il modo di fare fisica delle particelle. Le simmetrie imperfette furono utilizzate per raggruppare alcuni gruppi di particelle che sbucavano fuori dagli esperimenti sui raggi cosmici e dagli acceleratori degli anni ’50 e ’60. In questo contesto le particelle di massa molto simile venivano catalogate come stati di una stessa particella con numeri quantici diversi (se ti incuriosisce: la via dell’ottetto).

Le simmetrie imperfette servirono ad ispirare Gell-Mann e altri fisici nella costruzione di una simmetria perfetta, che è quella della cromodinamica quantistica e che riguarda i quark. Ma di questo parleremo magari in un altro articolo…


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Il neutrino sterile: la particella “fantasma” che arrovella i fisici da decenni

I neutrini sono a tutti gli effetti le particelle che abbiamo capito meno in tutto il Modello Standard.

In sintesi, le difficoltà sorgono dal fatto che queste particelle interagiscono con una sola delle interazioni fondamentali (senza contare la gravità), e questa è sfortunatamente l‘interazione debole. Alle tipiche energie dei nostri esperimenti questa interazione è fortemente soppressa (ecco perché si chiama “debole”), per cui è molto difficile produrre o far interagire dei neutrini:

In media, un neutrino interagisce una sola volta dopo aver percorso 100 miliardi di volte un diametro terrestre.

Nonostante ciò, i neutrini sono stati scoperti sperimentalmente e vengono studiati con cura dagli anni ’50, questo perché sono state impiegate sorgenti che ne emettono grandi quantità: in questo modo si contrasta la scarsa probabilità di interazione con l’enorme numero di “proiettili”. È la stessa filosofia di comprare un centinaio di “gratta e vinci” per aumentare le chances di pescarne almeno uno vincente.

Cosa non capiamo dei neutrini?

Per poter dire che “capiamo” tutto di una particella dobbiamo essere in grado di affermare quali siano i suoi numeri quantici, e di solito ci si concentra su questi tre:

  • Carica elettrica
  • Spin
  • Massa

Dei neutrini conosciamo con precisione solo i primi due: sono elettricamente neutri (infatti non interagiscono con la forza elettromagnetica) ed hanno spin 1/2, mentre sorprendentemente non sappiamo ancora con precisione il valore della loro massa. Sappiamo solo che non può essere più grande di un numero molto piccolo, per via delle evidenze sperimentali.

Ciò che stupisce è che rispetto alle altre particelle hanno una massa stupidamente minuscola, così piccola che è difficile da misurare: gli esperimenti ci consentono solo di porre dei limiti superiori sempre più piccoli. Per dare un’idea, l’elettrone ha una massa di mezzo milione di elettronvolt, mentre si stima che quella dei neutrini sia inferiore a un solo elettronvolt. Se l’elettrone è considerato la particella carica più leggera del Modello Standard, i neutrini sono davvero dei pesi piuma.

È di fondamentale importanza riuscire a determinare la massa di una particella. Nel Modello Standard la massa è spesso l’unico numero quantico che permette di distinguere tra due particelle che hanno gli altri numeri quantici uguali.

Ad esempio il muone e l’elettrone sono due particelle elementari con la stessa carica elettrica e lo stesso spin, ma il muone è circa 200 volte più pesante dell’elettrone ed è proprio ciò che ci permette di distinguerli nella maggior parte dei casi. Allo stesso modo il tau è la terza “sorella” di muone ed elettrone, in quanto ha stessa carica e stesso spin, ma massa pari a circa 18 volte quella del muone.
Queste tre particelle furono raggruppate in un trio chiamato “leptoni carichi”.

Elettrone, Muone e Tau: le tre particelle “sorelle” del Modello Standard costituiscono la famiglia dei leptoni carichi.

Per spiegare i risultati sperimentali degli anni ’30 e ’50, si associò a ciascun leptone carico (elettrone, muone e tau) un neutrino di tipo corrispondente. Infatti si dimostrò che in ciascun processo di interazione debole di un leptone carico compariva sempre un neutrino, di conseguenza:

  • All’elettrone venne associato un neutrino-elettronico: \nu_e
  • Al muone venne associato un neutrino-muonico: \nu_\mu
  • Al tau venne associato un neutrino-tau: \nu_\tau

Quindi anche i neutrini sono considerati dei leptoni, solo che hanno carica elettrica nulla. Assieme ai leptoni carichi costituiscono i 6 leptoni del Modello Standard.

La cosa importante da capire è che siamo in grado di distinguere un neutrino \nu_e da un neutrino \nu_\mu o da un neutrino \nu_\tau: basta guardare qual è il leptone carico coinvolto nelle interazioni (rare) di questi neutrini!

Il modo in cui siamo in grado di dire quale dei tre neutrini stiamo considerando: basta guardare i leptoni carichi che escono fuori dalle interazioni del neutrino con la materia.

In questo senso si parla di conservazione del sapore leptonico: un neutrino di sapore “muonico” è sempre associato, in un’interazione debole, a un muone. Se c’era un sapore elettronico all’inizio, dovrà esserci un sapore leptonico anche alla fine.

Le oscillazioni di sapore

Alla fine del secolo scorso si scoprì che i neutrini sono in grado di cambiare sapore leptonico durante il loro viaggio tra due punti dello spazio, e fu proprio questo fatto ad evidenziare che i neutrini dovevano avere una massa: senza una massa non è possibile questa oscillazione tra sapori!

L’oscillazione rompe la conservazione del sapore leptonico!

Ad esempio da un processo debole che coinvolge un elettrone (rivelabile) sappiamo che sbucherà fuori un \nu_e, il quale, dopo una certa distanza, si tramuterà in un \nu_\mu, il quale interagirà facendo comparire un muone, che sarà a sua volta rivelabile e ci permetterà di dire che questa oscillazione è effettivamente avvenuta!

Per spiegare questo effetto vengono introdotti gli “stati di massa” dei neutrini, chiamati \nu_1,\nu_2,\nu_3 a cui vengono associate le masse m_1,m_2,m_3. Ciascun stato di massa “contiene” al suo interno i tre sapori dei neutrini \nu_e,\nu_\mu,\nu_\tau in proporzioni che possono essere studiate sperimentalmente.
Graficamente abbiamo quindi tre neutrini ciascuno contenente al suo interno il mixing di sapori:

Gli autostati di massa dei neutrini con al loro interno i mixing dei sapori.
Celeste: \nu_e, Marroncino: \nu_\mu, Grigio: \nu_\tau.

Questo mixing avviene nel senso quanto-meccanico di sovrapposizione di stati: ciascuno stato di massa è una sovrapposizione delle funzioni d’onda dei sapori leptonici e,\mu,\tau.

Ad esempio dalla figura leggiamo che sperimentalmente è stato verificato che lo stato \nu_1 contiene per la maggior parte il sapore elettronico \nu_e (indicato in blu), mentre il sapore tau \nu_\tau è presente solo in minima parte.

Essendo tutto ciò un effetto quanto-meccanico, a ogni oscillazione tra sapori è associata una certa probabilità che sarà tanto più elevata quanto più grande è il mixing tra sapori negli stati di massa. Questa probabilità è verificabile sperimentalmente: basta chiedersi “se nel punto di partenza ho N neutrini di tipo \nu_e, quanti neutrini di tipo \nu_\mu mi ritroverò a una certa distanza dal punto di partenza?”

Ad esempio la probabilità che un neutrino \nu_e si trasformi in un neutrino \nu_\mu è data dalla seguente formula:

Vengono chiamate “oscillazioni” perché la probabilità dipende da un seno al quadrato, il quale rappresenta graficamente un’oscillazione nelle variabili L,E,\Delta m^2.

in cui \theta è un parametro del Modello Standard che è stato misurato sperimentalmente (e definisce il grado di mixing dei due sapori in questo caso). D’altra parte \Delta m^2=m_2^2-m_1^2 riguarda la differenza tra i quadrati delle masse di \nu_2 e \nu_1, mentre L è la distanza a cui hanno viaggiato i neutrini prima di essere rivelati, ed E è la loro energia.
Nota bene che se questi neutrini avessero la stessa massa, e cioè \Delta m^2=0, non si potrebbero avere oscillazioni (la probabilità sarebbe nulla perché il seno di zero fa zero).

Ad esempio è molto più probabile che un \nu_e si trasformi in un \nu_\mu quando l’argomento del seno è vicino al punto in cui il seno ha un massimo, e cioè in prossimità di 90^{\circ} (o in radianti pi/2), e cioè quando

Da questa formula è possibile capire a che valore del rapporto L/E si è più sensibili per rivelare un’oscillazione da \nu_e in \nu_\mu. Si può quindi ottenere una stima di \Delta m^2.

Studiando l’andamento dell’oscillazione con L/E si può quindi ricavare \Delta m^2 proprio da questa formula.

La differenza tra le masse dei neutrini \nu_2 e \nu_1 è minuscola, ma comunque calcolabile dai dati sperimentali. Allo stesso modo è stata calcolata la differenza tra le masse quadre di \nu_3 e \nu_2, e da ciò si può ricavare la differenza tra le masse quadre di \nu_3 e \nu_1.
Conosciamo solo queste \Delta m^2, ma non i valori singoli di m_3,m_2,m_1, che frustrazione, eh?

Misurando il numero di eventi di neutrini di un certo sapore ad alcuni valori del rapporto L/E si possono ricavare i valori sperimentali di \theta e \Delta m^2. Questo è proprio ciò che si fa da qualche decina di anni: la teoria delle oscillazioni è verificata con un alto grado di accuratezza, tranne per qualche anomalia…

Le anomalie delle oscillazioni

Immagina di stare conducendo un esperimento in cui produci dei neutrini \nu_\mu, li fai viaggiare per una certa distanza L e ti aspetti che si trasformino in neutrini \nu_e con una probabilità data dalla formula vista sopra: P_{\nu_e\to\nu_\mu}=\sin^2(2\theta)\sin^2\left(\frac{\Delta m^2 L}{4E}\right), solo che con sorpresa ti ritrovi a rivelare più neutrini \nu_e di quelli che ti aspettavi, un eccesso rispetto alla previsione teorica.

Questo è proprio quello che capitò nell’esperimento LSND degli anni ’90 (immagine di copertina): comparvero più neutrini \nu_e di quelli previsti dal modello delle oscillazioni a tre stati di massa \nu_1,\nu_2,\nu_3.

Questo fenomeno fu spiegato con l’introduzione di un quarto stato di massa \nu_4, avente massa m_4 apparentemente molto più grande di m_1,m_2,m_3.

Questo \nu_4 permetteva l’oscillazione di \nu_\mu in \nu_e a un ritmo più elevato, dato dalla formula modificata:

Stavolta \Delta m^2_{41}=m_4^2-m_1^2, e non più \Delta m^2=m_2^2-m_1^2.

in cui si trovò che, appunto, \Delta m_{41}^2\gg \Delta m_{21}^2: il quarto stato di massa doveva avere una massa molto più elevata degli altri tre stati di neutrini.

Ricorda però che ad ogni stato \nu_1,\nu_2,\nu_3 avevamo associato un certo mixing di sapori \nu_e,\nu_\mu,\nu_\tau, quindi aggiungendo un \nu_4 dobbiamo aggiungere anche un nuovo sapore \nu_s. Questo è necessario per far quadrare i conti della teoria dei mixing.

Il Modello Standard però proibisce (con misure sperimentalmente verificate) un numero di sapori di neutrini superiore a tre! Cioè possono esistere solo i sapori “canonici”: \nu_e,\nu_\mu,\nu_\tau.

Il nuovo sapore \nu_s associato alla comparsa di \nu_4 dovrà allora essere completamente sconnesso dal Modello Standard, e cioè dovrà essere sterile rispetto a tutte le interazioni fondamentali. Questo suo essere sterile proibisce una rivelazione diretta del neutrino, e i suoi effetti compaiono solo come eccessi di oscillazioni, come nell’esperimento LSND.

Il nuovo mixing dei neutrini usando un quarto stato di massa \nu_4 e un nuovo sapore sterile (indicato in rosa). Notare come \nu_4 contenga il nuovo sapore per la maggior parte, mentre una componente sterile è presente in quantità molto piccole negli altri stati \nu_1,\nu_2,\nu_3.
Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

Se già i neutrini di sapore tradizionale erano difficili da rivelare, il neutrino sterile è quindi una vera e propria particella fantasma. Non ne vediamo l’effetto diretto, ma solo quello indiretto sulle oscillazioni tra gli altri sapori “attivi” \nu_e,\nu_\mu,\nu_\tau.
Tuttavia anche questi “eccessi” nelle oscillazioni sono abbastanza misteriosi, ad oggi non è detto che il neutrino sterile esista per forza.

Ci sono parecchie discordanze sulle anomalie rivelate da LSND, dato che gli esperimenti successivi non sono riusciti a confermarle, ma nemmeno a smentirle! Anche al Gran Sasso (esperimento GALLEX) furono misurate delle anomalie nelle oscillazioni, e ad oggi pure queste anomalie restano senza conferma da altri esperimenti, nonostante siano però difficili da smentire.

La scoperta del neutrino sterile segnerebbe il primo passo verso il superamento definitivo del Modello Standard

Questo perché essendo sterile non potrebbe accoppiarsi nemmeno con il campo di Higgs per sviluppare la massa dello stato m_4, dunque servirebbe un nuovo meccanismo che implicherebbe l’utilizzo di teorie oltre il Modello Standard.

Per mettere la parola definitiva sul neutrino sterile sono previsti esperimenti sempre più sensibili, ma al contempo sempre più difficili da costruire, con tecnologie all’avanguardia ancora da inventare.


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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Il bosone di Rubbia ha una massa leggermente diversa: cedimento del Modello Standard?

Dopo decenni di stagnazione, il Modello Standard mostra i primi segni di cedimento?

È di ieri (7 aprile) la notizia pubblicata su Science: è stata trovata una differenza tra predizione teorica e misura sperimentale per la massa del bosone W. Una differenza piccola (0.09%) ma superiore ai margini di errore (0.01%) e quindi assolutamente degna di nota.

Il bosone W è proprio il famoso bosone scoperto dal team di Carlo Rubbia nell’ormai lontano 1983 (scoperta che valse il premio Nobel al fisico italiano).

Dopo vari decenni dalla sua scoperta, il bosone W può dare indicazioni di Fisica oltre il Modello Standard, ed è facile immaginare l’entusiasmo nella comunità dei Fisici del Fermilab, dove è avvenuta la scoperta:

La misura è estremamente eccitante e davvero un risultato monumentale nel nostro campo.

Florencia Canelli, fisica sperimentale dell’Università di Zurigo

Ci sono però quelli che domandano un po’ di cautela:

Userei cautela nell’interpretare questo risultato come il segno di nuova Fisica oltre il Modello Standard. I fisici dovrebbero concentrarsi sul capire come mai questo valore differisce da altri risultati anche recenti.

Matthias Schott, fisico dell’Università di Gutenberg

Perché ce ne siamo accorti solo ora?

La risposta è particolarmente semplice: siamo diventati più bravi nell’analisi dei dati. Il team di ricerca è stato capace, grazie a nuove tecniche, di manipolare un campione statistico di 4 milioni di bosoni W prodotti all’interno del detector, tra il 2002 e il 2011. Questi bosoni sono decaduti producendo degli elettroni, dei quali è stata misurata l’energia osservando la loro traiettoria in un campo magnetico.
A differenza del passato, è stato possibile misurare molto meglio la traiettoria degli elettroni, migliorando quindi la precisione di quanta energia si sono portati via.

La misura dell’energia degli elettroni permette di ricondursi alla massa del bosone W (il cui decadimento ha concesso agli elettroni di avere questa energia in primo luogo).

Perché il bosone W è importante?

Ad oggi conosciamo quattro forze fondamentali della Natura, meglio note come interazioni fondamentali.
Il modo in cui studiamo queste interazioni su basa sull’analisi di alcuni processi che coinvolgono le particelle. Tali processi possono essere studiati a differenti scale di energia in cui vengono rappresentati con diverse schematizzazioni, le quali ci danno un’idea di quello che sta succedendo.

Da questi schemi teorici emerge che un’interazione tra particelle deve essere mediata da una particella speciale chiamata bosone.
Il modo più diretto per avere l’identikit di questa particella è conoscere la sua massa.

Prima di ricavare una stima di queste masse, facciamo il punto della situazione sulle interazioni fondamentali in gioco:

  • Gravità: interazione tra tutti i corpi con massa. In una teoria di gravità quantistica (ancora solo ipotizzata a stento) deve essere mediata da un bosone chiamato gravitone.
  • Elettromagnetismo: interazione tra tutti i corpi con carica elettrica. Mediata da un bosone chiamato fotone.
  • Forza forte: interazione che tiene assieme i nuclei degli atomi. Ad alte energie si manifesta come un’interazione mediata dai gluoni dei quark, a basse energie ha invece come mediatore il bosone pione.
  • Forza debole: interazione che permette i decadimenti di alcuni nuclei. Mediata da tre bosoni, chiamati W+,W- e Z.

La prima distinzione interessante tra queste quattro forze è il loro raggio di interazione. Sono infatti tutte forze che agiscono a distanza, e due tra queste, cioè gravità ed elettromagnetismo, hanno un raggio di interazione infinito. Ciò significa che la forza gravitazionale tra due masse agli antipodi dell’universo è sempre teoricamente diversa da zero. Nella realtà, ovviamente, tale valore è così piccolo da poter essere considerato irrilevante per lo stato di moto delle due masse. Lo stesso discorso si applica all’elettromagnetismo. Questo raggio di interazione si dice asintoticamente infinito nel senso che la forza può essere considerata “matematicamente” nulla solo all’infinito (cioè un punto irraggiungibile).

Le altre due forze, quella nucleare forte e quella debole, hanno invece a che fare con il mondo dell’infinitamente piccolo, cioè i nuclei degli atomi.
La scala di distanza nucleare è completamente fuori dagli schemi della quotidianità: parliamo di qualche milionesimo di miliardesimo di metro. Questo numero è così difficile da scrivere e pensare che è stata creata direttamente una nuova unità di misura: il fermi (in onore di Enrico Fermi).

Come informazione di orientamento, diremo che il raggio di un nucleo è del valore di qualche fermi.

Siccome l’interazione forte si occupa di tenere assieme i nuclei, composti da tanti protoni e neutroni (protoni che altrimenti si respingerebbero per via dell’interazione elettromagnetica), il suo raggio di interazione è proprio dell’ordine di qualche fermi. L’interazione debole è ancora più a corto raggio, perché agisce su una scala che è un millesimo di quella nucleare.

In che modo vengono interpretati questi differenti raggi di azione delle forze fondamentali dalla fisica teorica?

Livello intuitivo: il diagramma di bassa energia

Un’interazione in un certo intervallo di bassa energia può essere schematizzata da un diagramma tipo questo

Nel quale viene riportato un processo di repulsione elettromagnetica tra due elettroni. Matematicamente questa repulsione viene comunicata da un fotone virtuale “γ” che viene creato con una certa energia per un certo intervallo di tempo. L’informazione elettromagnetica si propaga tra due punti dello spaziotempo diversi e non può essere istantanea (per non contraddire la relatività ristretta), ma può propagarsi, al massimo, alla velocità della luce.

Con poche differenze, i diagrammi delle altre interazioni alle basse energie hanno una struttura molto simile (fatta eccezione per la gravità, per la quale non esiste ancora una teoria quantistica soddisfacente). Ciascun diagramma è caratterizzato dal proprio personalissimo bosone di interazione, che sia il fotone (elettromagnetismo), il pione (forze nucleari forti), o i W e Z (interazione debole).

Lo scambio di un oggetto tra due persone su due barche genera un allontanamento per via della conservazione della quantità di moto totale.

Esiste un esempio intuitivo, seppur da prendere con le pinze perché serve solo a darci un’intuizione fisica, del perché lo scambio di un mediatore produca una forza di interazione. L’esempio viene dalla fisica classica ed è illustrato in figura.

Il principio di Heisenberg in una forma speciale

Vogliamo studiare in maniera intuitiva quali siano le grandezze in gioco nella propagazione dei bosoni mediatori. Sappiamo dalla fisica teorica che possiamo interpretarli come particelle create e riassorbite durante l’interazione, e che esistono per un certo intervallo di tempo che consente la loro propagazione.

“Aspetta, mi stai dicendo che viene creata una particella dal niente? Ma questo non viola il principio di conservazione dell'energia?"

Una forma molto speciale del principio di indeterminazione di Heisenberg riguarda proprio l’energia e il tempo. Una particella può essere creata con una certa energia per un certo intervallo di tempo, senza violare il principio di conservazione, a patto però che valga

Il simbolo “~” indica un’uguaglianza approssimata. A destra, la costante di Planck divisa per 2π.

Per la creazione di un bosone mediatore di massa “m” richiediamo che questi esista per un tempo sufficiente per propagarsi di una distanza “R” (che è proprio il raggio di azione dell’interazione) a una velocità che è dello stesso ordine (ma MAI uguale) a quella della luce “c“. In sintesi:

Il simbolo “~” sta proprio a indicare che la relazione vale solo come ordine di grandezza: non stiamo dicendo in nessun modo che un corpo di massa “m” possa viaggiare alla velocità della luce, ma solo a una velocità comparabile e ad essa inferiore.

Un gioco poco rigoroso, che ci azzecca molto bene

Sfruttando una possibile interpretazione dei diagrammi sulle interazioni, immaginiamo che i bosoni mediatori vengano creati nei processi e che si propaghino per una distanza “R” che è proprio il raggio di azione.

Come facciamo a capire se tali bosoni esistano davvero o se siano solo costrutti teorici?
Dobbiamo rivelarli sperimentalmente, ma per rivelarli sperimentalmente dobbiamo prima sapere che tipo di massa possiamo aspettarci per queste particelle.

Un giochino poco rigoroso è quello di usare il principio di Heisenberg esposto sopra, perché a quel punto l’energia di massa dei bosoni si ottiene dividendo per “∆t

L’energia di massa dei bosoni in funzione del raggio di interazione

Applichiamo ora questa formula ai bosoni delle interazioni: fotone, gravitone, pione e bosoni W,Z.

  • Fotone: l’interazione elettromagnetica ha un raggio di azione infinito. Se diamo a “R” un valore molto grande nella formula troviamo che la massa tende a zero. I fotoni, come si sa comunemente, hanno massa nulla, e quindi sono capaci di viaggiare alla massima velocità dell’universo, cioè la velocità della luce. Non una grandissima notizia, dato che i fotoni sono proprio la luce stessa.
  • Gravitone: l’interazione gravitazionale è sorella (molto più debole a parità di distanza) della forza elettromagnetica, e ha anche lei un raggio di azione infinito. Troviamo quindi una massa nulla anche per il fantomatico bosone dell’interazione gravitazionale: se mai troveremo una teoria quantistica della gravità, il suo bosone si propagherà alla velocità della luce.

Per discutere del pione (mediatore della forza nucleare forte a bassa energia) e dei bosoni della forza debole, diamo prima una formula numerica utile

Con “fm” intendiamo “fermi”, cioè l’unità di misura delle lunghezze nucleari.
Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

L’energia delle particelle atomiche si misura infatti con una scala energetica chiamata MeV.
Come per tutte le unità di misura, fatti bastare solo qualche numero di orientamento: l’energia di massa dei neutroni e dei protoni è di circa 1000 MeV, mentre l’elettrone “pesa” solo 0.5 MeV. Le energie dei legami nucleari sono invece dell’ordine di qualche MeV.

Per quanto riguarda il bosone W dell’interazione debole, per la quale il raggio di azione è dell’ordine di 0.0025 fermi

Questo era il valore appunto trovato nel 1983! Per la precisione parliamo di 80,379 migliaia di MeV. Oggi questo valore è in discordanza dello 0.09% con quello misurato al Fermilab.

Se il risultato verrà confermato da ulteriori esperimenti, siamo davanti al primo reale superamento del Modello Standard.

È un arrivo una nuova stagione eccitante per i fisici teorici?


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Il Teorema “CPT”, o il motivo per cui un anti-universo sarebbe indistinguibile dal nostro

Ci sono pochi argomenti che fanno da musa ispiratrice sia per i fisici teorici che per i fisici sperimentali. Le simmetrie discrete rappresentano una guida importantissima con cui interpretiamo i risultati sperimentali e con cui strutturiamo la forma matematica delle teorie, perché hanno la capacità di predire “cosa è concesso e cosa è vietato”.

  • Vuoi osservare il decadimento di una particella e non sai quali proprietà aspettarti dai suoi prodotti di decadimento? Argomenti di simmetria scarteranno alcune tra le varie possibilità, permettendoti di focalizzare le tue misure su altre proprietà.
  • Vuoi scrivere una teoria che descrive l’interazione nucleare? Sappi che gli esperimenti non hanno mai osservato la violazione di una certa simmetria “A”, quindi assicurati che le tue equazioni abbiano la stessa simmetria!

Quando diciamo “il sistema ha una simmetria” dobbiamo prima specificare rispetto a quale trasformazione. Infatti una simmetria è sempre preceduta da una trasformazione, altrimenti dire “simmetria” perde ogni significato. (Per un’introduzione al concetto di simmetria rimando a un precedente articolo).

Non tutte le trasformazioni sono una simmetria di un certo sistema. Ciò non è un problema: in ogni caso abbiamo scoperto che è molto comodo catalogare gli oggetti in base al loro comportamento sotto determinate trasformazioni.
Ad esempio la freccia in figura possiamo chiamarla “generica freccia bianca con punta a destra”

Potremmo decidere arbitrariamente di studiare il comportamento di questa freccia sotto alcune trasformazioni interessanti: ad esempio la trasformazione “inversione speculare” trasforma la freccia in quest’altra:

L’oggetto ottenuto non è lo stesso di prima, ora la freccia ha la punta verso sinistra: diremo che “la riflessione speculare non è una sua simmetria della freccia”. Pazienza! Non tutto può essere simmetrico.
Abbiamo comunque imparato qualcosa di nuovo: possiamo dare un nuovo nome a questo sistema: tipo “freccia bianca che sotto riflessione va nel suo opposto“. Questo modo di chiamare un oggetto in base a come si comporta sotto una trasformazione è ciò che facciamo per catalogare le particelle e le interazioni fondamentali del Modello Standard.

Il Modello Standard è caratterizzato da tre simmetrie fondamentali: la simmetria di Lorentz (le leggi della Fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali, o in altri termini, sono simmetriche sotto una trasformazione di Lorentz), la simmetria di gauge (gli oggetti matematici della Fisica presentano più variabili di quelle fisicamente necessarie), e la simmetria CPT. Le prime due sono abbastanza astratte rispetto all’ultima, su cui ci concentriamo oggi.

La simmetria “CPT” evidenzia un fatto importantissimo della nostra realtà: le leggi della Fisica rimangono inalterate se applichiamo tutte e tre le seguenti trasformazioni:

  • Inversione spaziale “P”
  • Inversione di carica “C”
  • Inversione temporale “T”

Le trasformazioni P, C, T sono chiamate in gergo “simmetrie discrete”. Svisceriamole una ad una.

La simmetria P: inversione spaziale

L’inversione spaziale, altrimenti nota come “trasformazione di parità” consiste nell’invertire tutte e tre le direzioni spaziali: le coordinate cartesiane (x,y,z) vengono mandate in (-x,-y,-z).
Per visualizzare meglio questa trasformazione, considera una freccia in tre dimensioni, ad esempio dotata di un certo spessore, una punta e due facce rettangolari. Chiamiamo “A” e “B” le due facce di questa freccia.

Le due facce “A” e “B” della stessa freccia.

Visualizziamo la freccia in una certa posizione iniziale, ad esempio disponiamola con la faccia “A” rivolta verso di noi (quindi la faccia “B” è rivolta verso la pagina di questo articolo), e la punta è rivolta verso destra.
Per ottenere una trasformazione di parità eseguiamo due step: anzitutto ruotiamo di 180 gradi la freccia attorno alla direzione della sua punta ed infine invertiamo la punta. Infatti così facendo abbiamo mandato la faccia “A” nel suo opposto (cioè la faccia B), poi abbiamo invertito il basso con l’alto, ed infine abbiamo invertito la destra con la sinistra. Gli step sono illustrati in figura

Una trasformazione di parità della freccia. Dall’alto verso il basso: la freccia nella sua posizione iniziale, la freccia dopo una rotazione di 180 gradi attorno alla direzione della sua punta, e poi l’inversione della punta nell’ultimo step.

Nota bene, una trasformazione di parità è ben diversa da una trasformazione “speculare”. Non è come vedere la freccia davanti a uno specchio!

Una trasformazione speculare della freccia.

Spesso invece capita di sentire che l’inversione spaziale corrisponde a “vedere l’universo attraverso uno specchio”, come mai questa inesattezza?
Immagina per un attimo se la freccia avesse due facce uguali e non ci fosse modo di distinguere il basso dall’alto, in quel caso la riflessione speculare e la trasformazione di parità coincidono!

Questo perché la freccia iniziale era simmetrica sotto una rotazione di 180 gradi rispetto alla direzione della punta (quindi il primo step della trasformazione di parità la lascia invariata). Moltissimi sistemi fisici di interesse godono di una simmetria sotto rotazioni attorno a una certa direzione, per cui non è così scorretto dire che l’inversione spaziale “coincide” con l’osservare l’universo allo specchio.

"Però mi sfugge cosa c'entri con la Fisica tutto questo discorso sull'inversione dello spazio. Cosa gliene frega alle particelle se prendo gli assi cartesiani in un verso o nell'altro?" 

Magari non è immediato vederlo, ma la connessione è piuttosto profonda e ha a che fare con le interazioni fondamentali.

In particolare ha a che fare con il modo con cui scriviamo le teorie della Fisica.
Se le evidenze sperimentali suggeriscono ad esempio che un processo ha la stessa probabilità di avvenire in una direzione rispetto alla direzione opposta, allora sarà meglio che la teoria sia simmetrica sotto una trasformazione di parità dal punto di vista matematico! Lo schema di queste ragionamento è il seguente:

Per fare un esempio consideriamo la teoria di Dirac per un fermione di massa m. Nella teoria il termine di massa è scritto accoppiando i campi ψ del fermione nel seguente modo:

La trasformazione di parità dei campi fermionici si ottiene moltiplicandoli per una matrice detta “di Dirac”: γ0

Trasformazione di parità per i campi fermionici. La matrice di Dirac è caratterizzata dall’equazione (γ0)2 =1, cioè il suo quadrato è uguale all’identità.

A questo punto mostriamo che il termine di massa della teoria di Dirac è invariante sotto parità:

La trasformazione di parità dei campi fermionici lascia invariato il termine di massa grazie al fatto che 0)2 =1. La teoria di Dirac è costruita in modo da essere invariante sotto parità (ciò era suggerito dagli esperimenti).

In teoria nulla garantisce che le leggi della Natura siano invarianti sotto inversione spaziale, è una nostra assunzione ragionevole, confermata dalla maggior parte dei risultati sperimentali e per la maggior parte delle interazioni fondamentali.
Negli anni 50′, con grossa sorpresa, si scoprì che la nostra assunzione non corrispondeva alla realtà.

L’interazione debole e la violazione della parità

È arcinota l’importanza dei vettori nella Fisica. Siccome i vettori sono quantità riferite agli assi cartesiani, invertire gli assi con una trasformazione di parità invertirà anche i vettori.
Un vettore r verrà mandato nel suo opposto –r in seguito a una trasformazione di parità. Se però consideriamo il prodotto di due vettori, ad esempio come il momento angolare L=rxp , sotto una trasformazione di parità si ha

I segni meno si cancellano e il momento angolare rimane uguale a se stesso, non si inverte.

Un giroscopio davanti a uno specchio. L’asse di rotazione del giroscopio è perpendicolare alla superficie dello specchio: il verso di rotazione rimane inalterato nella riflessione.

Ciò si capisce intuitivamente se pensiamo a un sistema invariante sotto rotazioni e caratterizzato da un asse di rotazione, come un giroscopio. Per questo oggetto la trasformazione di parità equivale alla riflessione speculare (come precisato sopra). Se mettiamo un giroscopio rotante davanti allo specchio, il suo verso di rotazione non viene invertito: se gira in senso orario nel “nostro mondo”, continuerà a girare in verso orario anche nello specchio.

Fatta questa premessa, consideriamo uno degli esperimenti cruciali nella Fisica delle particelle: l’esperimento di Wu (1956).
Nell’esperimento di Wu si considerò un particolare decadimento nucleare del Cobalto-60, che provocava l’emissione di elettroni e antineutrini.
Tramite l’accensione di un campo magnetico, il team di Wu orientò gli spin dei nuclei di Cobalto in una direzione privilegiata, proprio come si farebbe con degli aghi magnetici. Per la conservazione del momento angolare, gli spin dell’elettrone e dell’antineutrino emessi dovevano avere lo stesso orientamento spaziale degli spin dei nuclei di Cobalto.
L’obbiettivo dell’esperimento era di seguire le traiettorie degli elettroni e vedere quale direzione prendessero rispetto allo spin del nucleo decaduto. Dopo un po’ di raccolta dati, si scoprì che gli elettroni avevano una direzione preferita di emissione: opposta allo spin nucleare. L’informazione raccolta sulla Fisica del problema era l’osservazione sperimentale: “la direzione preferita di emissione da parte degli elettroni è quella opposta allo spin del nucleo.”

Di primo acchito questa osservazione non sembra presentare nulla di problematico. Consideriamo però una trasformazione di parità: lo spin nucleare (essendo analogo a un momento angolare) viene mandato in se stesso come abbiamo visto, ma la direzione di moto degli elettroni viene invertita. Quindi in un mondo speculare (con asse di riflessione coincidente con quello dello spin) la conclusione dell’esperimento è che la direzione di emissione preferita da parte degli elettroni è quella concorde allo spin del nucleo.

Sotto una trasformazione di parità le conclusioni sperimentali sono diverse, in netta contrapposizione l’una con l’altra! Per la prima volta nella storia della Fisica una conclusione sperimentale è modificata da una trasformazione di parità, cioè la parità NON è una simmetria del sistema!

Perché la parità potesse essere una simmetria del sistema, ci saremmo aspettati tanti elettroni emessi nella direzione dello spin nucleare, quanti emessi nella direzione opposta. Ciò non è quello che si osserva, per cui siamo portati alla conclusione che la parità non è una simmetria fondamentale della natura, nonostante sia una simmetria delle forze nucleari e delle forze elettromagnetiche.

Interpretazione dell’esperimento di Wu

L’interpretazione dell’esperimento fu la seguente: esiste un’interazione fondamentale capace di far decadere un nucleo emettendo elettroni e antineutrini (oggi nota come interazione debole) che non è simmetrica rispetto a una trasformazione di parità. La parità NON è più una simmetria fondamentale della Natura.
L’universo visto allo specchio ha un comportamento diverso se si considerano i decadimenti deboli di alcuni nuclei. Questa distinzione fu abbastanza sconcertante e i fisici dell’epoca rimasero piuttosto sorpresi.

La simmetria C: inversione di carica

La trasformazione matematica di un elettrone in un positrone.

Una trasformazione di inversione di carica viene effettuata sulle funzioni d’onda che descrivono le particelle.
Le funzioni d’onda possono essere caratterizzate da numeri quantici come: carica elettrica, numero leptonico, numero barionico e numero leptonico di sapore.
L’inversione di carica, come suggerito dal nome, inverte tutti questi numeri quantici: non solo la carica elettrica, ma anche numero leptonico, numero barionico e sapore!


Ad esempio l’inversione di carica su un elettrone lo trasforma in un positrone (cioè una particella con stessa massa, ma carica elettrica opposta e numero leptonico opposto). Quindi effettivamente l’inversione di carica trasforma una particella nella sua anti-particella (per un resoconto su come siamo arrivati a teorizzare le antiparticelle rimando a un precedente articolo).

D’altra parte, una particella senza carica elettrica e senza altri numeri quantici (come il fotone) viene mandato in se stesso da questa trasformazione: il fotone è l’antiparticella di se stesso.

Per la maggior parte dei processi fisici, l’inversione di carica C è una simmetria: potremmo sostituire tutte le particelle del processo con le rispettive antiparticelle e il processo rimarrebbe lo stesso (stesse previsioni teoriche e stessi risultati sperimentali).
Ancora una volta fa eccezione l’interazione debole: per questa interazione entrambe le trasformazioni P e CP (combinazione di C e P) non sono una simmetria. Si pensa che questo fatto sia la risposta al quesito: perché il nostro universo è composto per la maggior parte da materia rispetto ad antimateria? In qualche momento dopo il big bang ci fu una maggior produzione di materia forse proprio grazie al fatto che l’interazione debole presenta questa asimmetria nel trattare particelle e antiparticelle.

La simmetria T: inversione temporale

L’ultima trasformazione discreta è l’inversione temporale: si inverte il tempo nelle equazioni della Fisica. L’inversione del tempo agisce su tutte quelle quantità in cui il tempo compare, ad esempio la quantità di moto (contenendo la velocità definita come il rapporto tra spazio e tempo) acquista un segno negativo sotto inversione temporale: p va in –p. Il momento angolare acquista un segno negativo anche lui, dato che L=rxp e r va in se stesso, ma p va in –p, quindi rx(-p)=-L.

Di nuovo, la maggior parte delle teorie fisiche rimane inalterata sotto inversione temporale, ad eccezione della solita guastafeste: l’interazione debole!

Ciò non sconforta ormai più di tanto, dato che le eventuali simmetrie sotto C,P e T separatamente non hanno motivo di esistere se non per la nostra soddisfazione personale.
Esiste un’unica simmetria che però deve essere rispettata affinché non crolli tutto il palazzo della Fisica Teorica, ed infatti esiste un Teorema che lo dimostra precisamente. Questa simmetria è la combinazione simultanea di C, P e T: la simmetria CPT.

Il Teorema CPT

Il Teorema CPT discende dall’unione tra meccanica quantistica e relatività ristretta, nel contesto della teoria quantistica dei campi. La sua dimostrazione dipende fortemente da tutto ciò che sappiamo essere verificato sperimentalmente sulla meccanica quantistica e sulla relatività ristretta. TUTTE le leggi della Natura sono invarianti se applichiamo successivamente: un’inversione di tutte le coordinate spaziali, un’inversione della carica di tutte le particelle (cioè la trasformazione di tutte le particelle in antiparticelle) e l’inversione temporale dei processi fisici.

Stiamo dicendo che non è possibile distinguere un esperimento di Fisica condotto in un anti-universo composto da anti-particelle, studiate con coordinate spaziali invertite e con i processi che avvengono al contrario nel tempo.

Per capire il significato del teorema, dobbiamo ricollegarci all’interpretazione di Feynman-Stückelberg sulle antiparticelle, come discusso in un articolo precedente. Un’antiparticella può essere interpretata come una particella che si muove “indietro nel tempo”.

Siccome la trasformazione combinata “CP” trasforma tutte le particelle in anti-particelle e inverte le coordinate spaziali (in modo da farle muovere “all’indietro” rispetto alle coordinate originali), se applichiamo un’ulteriore trasformazione “T” di inversione temporale stiamo facendo muovere queste antiparticelle all’indietro nel tempo e in una direzione spaziale opposta alle coordinate originali. Tradotto: siamo ritornati punto e a capo, e cioè all’universo originale. Quindi, se operiamo un’ulteriore trasformazione di inversione temporale “T”, l’anti-universo ottenuto con la trasformazione “CP” può essere reso indistinguibile dall’universo iniziale.

Una delle prime dimostrazioni del teorema CPT è dovuta a Wolfgang Pauli, il quale fu tra i primi a formalizzare il concetto di simmetria discreta nella teoria quantistica dei campi.

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La violazione di CP e T, ma non di CPT

Sottolineiamo: la simmetria sempre conservata è la combinazione simultanea CPT, ma ciascuna delle trasformazioni separate C, P o T può comunque non essere una simmetria delle teorie fisiche.

Abbiamo visto che l’interazione debole viola la simmetria P. Sappi che viola anche la simmetria CP, cioè la combinazione simultanea di C e P ( è stato verificato sperimentalmente). Questo fatto mise in grave allarme i fisici dell’epoca, perché la simmetria CPT era quindi in pericolo, e assieme a lei tutta la struttura matematica della teoria quantistica dei campi.

Grazie all’interpretazione di Feynman-Stückelberg sappiamo che, se CP è violata, allora l’unico modo per avere simmetria CPT è che anche T sia violata. Un po’ come dire: se voglio ottenere +1 dal prodotto di due numeri, dovranno essere entrambi negativi in modo che si cancelli il segno “-“, in questo modo (-1)(-1)=+1. Fisicamente corrisponde a dire:

Analogia tra la violazione delle simmetrie e la moltiplicazione tra numeri negativi.

I risultati sperimentali odierni sembrano confermare che la simmetria T sia violata, quindi la CPT dovrebbe essere salva, assieme a tutto il castello della Fisica Teorica.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

[Immagine di copertina: Kelly Sikkema]

Quel tremendo colloquio con Enrico Fermi che cambiò la carriera di Dyson

Ci sono svariati motivi per cui la Scienza, pur essendo una disciplina di matrice umana e quindi predisposta all’errore, riesce sempre a raddrizzarsi. Il motivo più cruciale è la spietatezza del giudizio tra pari: l’oggettività e il metodo scientifico non guardano in faccia nessuno.

Naturalmente per garantire il continuo raddrizzamento servono grandi personalità, che devono essere la base di ogni comunità scientifica. E non parlo di “grandi personalità” solo dal punto di vista accademico, servono grandi capacità relazionali e grande onestà intellettuale, anche a costo di dire qualcosa di molto scomodo. La scienza inizia a morire quando inizia a prendere piede il pensiero di gregge, dal quale nessuno ha il coraggio di discostarsi.
A capo del gregge servono dei pastori, pochi fari nella notte, ma sempre accesi e messi nei punti giusti.

In questo contesto, qualche tempo fa sono incappato in una storia condivisa da Freeman Dyson, che è stato uno dei più importanti fisici teorici del secondo novecento. Credo che questa storia riassuma perfettamente lo stato esistenziale del ricercatore: la ricerca è un mondo appassionante in tutti i sensi, passione emotiva e passione in senso latino, “patire, soffrire”.

Un po’ di contesto storico

Un tipico processo di elettrodinamica quantistica, un fotone virtuale viene scambiato tra due elettroni.

Alla fine degli anni ’40 si era raggiunta una soddisfacente descrizione dei processi atomici. L’unica forza fondamentale del mondo quantistico allora compresa, l’elettrodinamica quantistica, aveva come ingredienti i campi fermionici come elettroni, protoni e neutroni, e il campo elettromagnetico (rappresentato dal suo quanto di eccitazione, il fotone).
Come descritto in un precedente articolo, essendo il mediatore di un’interazione a raggio d’azione infinito, il fotone ha massa nulla. Un principio di simmetria, assieme alle nozioni dell’elettrodinamica classica, ci guidano a scrivere l’interazione elettrodinamica, come spiegato in un precedente articolo, con la seguente struttura:

L’accoppiamento tra campi fermionici ψ e il campo elettromagnetico Aμ.
L’intensità dell’interazione è specificata dalla carica dell’elettrone in unità fondamentali (unità di c=ℏ=1).
Freeman Dyson (1923-2020)

A partire da questa struttura, si è in grado di calcolare tutti i processi elettromagnetici possibili, e verificare l’accuratezza della teoria confrontando i valori ottenuti con i dati sperimentali. Questa era l’occupazione di Freeman Dyson e il suo gruppo di studenti. Dyson, allora un giovanissimo professore di Fisica Teorica alla Cornell, era riuscito con il suo gruppo ad ottenere uno spettacolare accordo tra le previsioni teoriche e i dati sperimentali: l’elettrodinamica era una teoria in grado di fare previsioni molto accurate.

Dopo questi successi, nel 1951 il gruppo di Dyson era alla ricerca di altri problemi da conquistare. Uno particolarmente promettente era il problema di studiare cosa tenesse assieme i nuclei: l’interazione nucleare.
All’epoca la Fisica Nucleare era una scienza prettamente empirica: i modelli teorici erano pochi, confusi e dallo scarso potere predittivo. Quello che era certo, almeno alla scala di energia che si esplorava all’epoca, è che il mediatore della forza nucleare doveva essere massivo (per sapere perché leggi qua) perché al di fuori del nucleo la forza nucleare cessava di esistere.
Se il mediatore dell’elettrodinamica era il fotone, il mediatore dell’interazione nucleare fu individuato nel pione. L’obbiettivo era quindi fare degli esperimenti in cui si facevano collidere pioni con altre particelle nucleari, per studiarne l’interazione.

Dyson e il suo gruppo, avendo avuto così tanto successo con il modello dell’elettrodinamica, decisero che la struttura migliore per l’interazione doveva essere molto simile:

L’accoppiamento tra i campi fermionici ψ e il campo del pione ϕ.
L’intensità dell’interazione è specificata dalla costante “g” , che ha un valore molto più elevato della costante di accoppiamento elettromagnetica “e”.
Un protone ed un neutrone interagiscono scambiandosi un pione neutro.
Nota la somiglianza con il diagramma dell’elettrodinamica.


Questa teoria era conosciuta come “teoria del pione pseudoscalare” , e il gruppo di Dyson ci lavorò a tempo pieno per due anni. Dopo uno sforzo di proporzioni eroiche, nel 1953 riuscirono a produrre delle predizioni teoriche in accettabile accordo con i dati disponibili all’epoca. La carriera di alcuni studenti di Dyson dipendeva dal successo di questa teoria, dato che erano per la maggior parte dottorandi o post-doc.

I dati sperimentali con cui confrontavano le loro previsioni teoriche erano stati raccolti da uno dei migliori fisici del novecento, nonché uno dei padri fondatori della ricerca nucleare: Enrico Fermi, professore a Chicago e al tempo uno dei leader nella costruzione del Ciclotrone con cui si studiavano le interazioni nucleari.
Fermi era anche uno dei migliori fisici teorici della sua generazione, quindi Dyson pensò fosse il caso di andare a trovarlo per discutere sul successo del proprio lavoro, prima di pubblicarlo.

Enrico Fermi (1901-1954), premio Nobel per la Fisica 1938.

L’incontro con Fermi

Nella primavera del ’53, Dyson si diresse a Chicago per andare a trovare Fermi nel suo ufficio, portando con sé una pila di fogli con alcuni grafici che riproducevano i dati sperimentali calcolati dal suo gruppo.

Fermi aveva la nomea di incutere una certa soggezione, di certo non solo per la sua fama di grande scienziato, ma anche per l’acutezza del suo giudizio. Quindi è facile immaginarsi che Dyson si sentisse un po’ teso per quell’incontro.
La sua tensione si trasformò presto in soggezione quando vide che Fermi diede solo un rapido sguardo ai fogli che gli aveva portato, per poi invitarlo a sedersi e chiedergli con un tono amichevole come stessero sua moglie e suo figlio neonato.

Dopo qualche chiacchiera, improvvisamente Fermi rilasciò il suo giudizio nella maniera più calma e schietta possibile

Ci sono due modi di fare i calcoli in Fisica Teorica. Il primo modo, che io preferisco, è di avere un chiaro schema mentale del processo fisico che vuoi calcolare. L’altro modo è di avere un preciso ed auto-consistente formalismo matematico. Voi non avete nessuno dei due.

Dyson rimase ammutolito, anche se la parte più orgogliosa di lui era comunque incredula. Quindi cercò di capire cosa non andasse, secondo Fermi, con la teoria del pione pseudoscalare.

Fermi aveva un intuito fisico eccezionale su cui fondò letteralmente una scuola di pensiero in grado di far fruttare ben 8 premi Nobel per la Fisica tra i suoi studenti.

La teoria del pione pseudoscalare, secondo il suo intuito, non poteva essere corretta perché a differenza dell’elettrodinamica l’interazione era molto più intensa e nei calcoli era necessario mascherare alcune divergenze senza avere un chiaro schema fisico di quello che stesse succedendo.

Inoltre, quando Dyson gli chiese, ancora orgogliosamente, come mai secondo lui i dati fossero comunque in accordo con le sue previsioni nonostante la teoria fosse inadeguata, Fermi gli fece notare che il numero di parametri utilizzato (quattro) era troppo alto, e che con un numero così elevato fosse possibile raggiungere un raccordo tra le previsioni teoriche e qualunque dato sperimentale.

In sostanza Fermi demolì, con estrema calma e schiettezza, gli ultimi due anni di lavoro dell’intero gruppo di Dyson, composto da dottorandi e post-doc la cui carriera in quel momento dipendeva dal successo di quella teoria.

La storia diede ragione a Fermi. La teoria del pione pseudoscalare non era quella corretta, al modello delle forze nucleari mancava un pezzo fondamentale del puzzle: i quark, teorizzati da Gell-Mann il decennio successivo, quando Fermi era già morto.

Dopo quell’incontro traumatico, Dyson e il suo gruppo pubblicarono comunque il lavoro, ma abbandonarono completamente quel campo di ricerca. Negli anni successivi, ripensando a quell’evento, Dyson espresse di essere grato eternamente a Fermi per quello “schiaffo” morale, perché la sua teoria non avrebbe portato nessun frutto e avrebbe fatto sprecare preziosi anni di ricerca a lui e al suo gruppo.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Alla ricerca del neutrino di Majorana nel punto più freddo dell’Universo

I neutrini sono secondo molti le particelle più interessanti della Fisica moderna. In un recente articolo ho cercato di dare un’idea del perché questa sia un’opinione così diffusa.

Tra tutti i grattacapi sui neutrini, uno dei più discussi riguarda il meccanismo teorico con cui interpretiamo la loro massa.

"Perché è necessario un meccanismo teorico per interpretare le masse delle particelle? E poi, che vuol dire interpretare? Non si interpreta una massa, la massa esiste e basta, no?"

L’osservazione è ragionevole! Ma la Fisica Teorica (lo strumento con cui facciamo previsioni sull’universo) lo è un po’ meno, o meglio, parla un linguaggio che ai nostri occhi può apparire meno “ragionevole”. In un recente articolo ho provato a illustrare come e perché sia necessario interpretare la massa delle particelle tramite la rottura di una simmetria. Questo meccanismo, in grado di “dare massa” alle particelle, è noto come “meccanismo di Higgs”.
Siccome sappiamo da poco più di un ventennio che i neutrini hanno massa, è lecito estendere il meccanismo di Higgs anche a loro. Tutto funziona perfettamente, se non fosse per due questioni poco soddisfacenti:

  • Come spiegato nell’articolo precedente e accennato qui, la massa dei fermioni (la stessa famiglia dei neutrini) deve essere costruita con due blocchetti matematici fondamentali chiamati “chiralità destra” e “chiralità sinistra”. I neutrini interagiscono solo con la chiralità sinistra della loro funzione d’onda, per cui se vogliamo introdurre una massa con il meccanismo di Higgs, dobbiamo introdurre forzatamente una chiralità destra, la quale sarebbe “sterile” (cioè non avrebbe motivo di esistere se non per costruire la massa della particelle, dato che non partecipa alle interazioni).
    I fisici preferiscono lavorare con quantità che possono misurare, se non possiamo misurare la “chiralità destra” nel senso che non possiamo osservare neutrini che interagiscono con quella chiralità, è poco soddisfacente introdurla.
  • La costante di accoppiamento tra il campo del neutrino e il campo di Higgs (tramite cui possiamo “assegnare“ la massa alla particella) è inspiegabilmente molto più piccola delle costanti di accoppiamenti dei fermioni più famosi (elettroni, quark, muoni, etc.).

Queste questioni poco soddisfacenti fanno sentire la necessità di un meccanismo alternativo per dare massa ai neutrini, un meccanismo personalizzato apposta per loro, per nascondere la nostra ignoranza su una eventuale Fisica oltre il modello standard.

Questo meccanismo è noto come Meccanismo di Majorana: a un livello molto elementare si tratta di ipotizzare che neutrino e antineutrino siano la stessa particella. Il tutto è spiegato brevemente in questo articolo dedicato all’ipotesi di Majorana. In sintesi: se neutrino e antineutrino sono la stessa particella (cosa possibile in quanto il neutrino è neutro elettricamente), allora serve un solo blocchetto matematico per descrivere la sua massa, cioè solo la “chiralità sinistra”, e non serve introdurre chiralità sterili.


Il meccanismo di Majorana, con poche altre ipotesi di contorno, è in grado di spiegare la massa dei neutrini senza incappare nelle questioni elencate sopra, per cui è generalmente favorito tra i fisici.

Il meccanismo dell’altalena per la massa del neutrino. Il motivo per cui i neutrini sono così leggeri è perché esiste un loro partner di Majorana, sterile e molto massivo.

Questo meccanismo identifica neutrino con antineutrino, quindi non illustra solo come la particella acquista una massa, ma ci dice anche che il neutrino è un fermione completamente diverso dagli altri fermioni del Modello Standard.
Inoltre fornisce una possibile interpretazione del perché il neutrino è tanto leggero rispetto agli altri fermioni. Infatti in una delle declinazioni della teoria di Majorana la massa del neutrino è così piccola per via dell’esistenza di un ipotetico neutrino sterile di Majorana (sterile rispetto alle interazioni) avente una massa molto grande.
Con uno speciale accorgimenti teorico, l’introduzione di un neutrino molto massivo di Majorana ha l’effetto di rendere molto piccola la massa del neutrino che osserviamo nelle interazioni comuni.
Il modo migliore per immaginarsi questo particolare escamotage è tramite un’altalena: il neutrino è così leggero in quanto esiste un suo “partner sterile e pesante” molto più massivo.
I due meccanismi sono rappresentati in figura:

Un punto importante da capire del meccanismo “altalena” di Majorana è il seguente: il neutrino finale (quello leggero) è comunque una particella di Majorana. Esistono quindi due “neutrini di Majorana” di cui tenere conto nella teoria, il primo è il neutrino sterile introdotto all’inizio, questo neutrino sterile tramite un particolare accorgimento teorico può essere utilizzato per rendere molto piccola la massa del neutrino che si manifesta nelle interazioni. Un sottoprodotto di questo meccanismo è che il neutrino leggero diventa una particella di Majorana.

Come possiamo capire se il neutrino è una particella di Majorana?

La strategia più favorita è quella di andare a studiare processi nucleari in cui un neutrino si trasforma in un antineutrino, cioè processi che possono avvenire se e solo se il neutrino è una particella di Majorana.

Un processo di questo tipo è il doppio decadimento beta senza neutrini. (Per una breve introduzione sul decadimento beta singolo, leggi qui).
In sintesi in un decadimento beta normale un neutrone all’interno del nucleo si trasforma in un protone grazie all’interazione debole, ma nella trasformazione vengono generati un elettrone (per conservare la carica elettrica), e un antineutrino.

Illustrazione di un singolo decadimento beta nucleare.
Un doppio decadimento beta senza neutrini. La “barra” sopra il nome della particella indica la sua antiparticella. Nell’ipotesi di Majorana neutrino e antineutrino coincidono. Notare che le uniche particelle emesse nello stato finale sono due elettroni.

Questo antineutrino, prima di uscire dal nucleo, può andare a interagire con una certa probabilità (in verità piuttosto bassa) con un altro neutrone. L’interazione può avvenire solo se l’antineutrino interagisce con il neutrone con la chiralità preferita dall’interazione debole, cioè la chiralità sinistra (come illustrato nell’articolo precedente), ma per fare ciò dovrebbe invertire la chiralità con cui è stato emesso nel decadimento iniziale (se i neutrini interagiscono solo con la chiralità sinistra, gli antineutrini interagiscono solo con la chiralità destra, dato che particelle e antiparticelle trasformano in maniera opposta). Quindi deve avvenire il passaggio da chiralità destra a chiralità sinistra, e questo può avvenire solo se neutrino e antineutrino sono la stessa particella, cioè se sono particelle di Majorana!
Se l’antineutrino (neutrino) inverte la propria chiralità, può andare a fare interazione debole con un altro neutrone nucleare, e questo genera l’emissione di un altro protone e di un altro elettrone.
In questo modo nel nucleo spuntano due protoni in più rispetto a prima, e vengono emessi due elettroni in totale (ma nessun neutrino).

Il risultato del doppio decadimento beta è che non vengono emessi neutrini, perché agiscono solo come particelle virtuali di scambio all’interno del processo nucleare.

L’esperimento CUORE

La probabilità di osservazione di un doppio decadimento beta nucleare è così bassa che se stessimo ad aspettare ne accadrebbe in media uno solo in ben dieci milioni di miliardi di volte l’età dell’universo.

La fisica dei neutrini è abituata a cercare l’acqua nel deserto, essendo i neutrini le particelle più sfuggenti che conosciamo. Fortunatamente, come già discusso nell’articolo precedente, possiamo aumentare le nostre probabilità di vincita se giochiamo bene tante schedine!
È sufficiente indagare grandi masse nucleari, dell’ordine della tonnellata, e questa probabilità si innalza considerevolmente: almeno qualcuno fra quei miliardi e miliardi di nuclei dovrà pur decadere!
Tuttavia la probabilità del processo è comunque molto più bassa delle probabilità di tutti i restanti processi dell’ambiente che ci circonda, dalla radioattività naturale fino ai prodotti di spallazione dei raggi cosmici.
Se si vuole cercare il doppio decadimento beta, bisogna schermare tutte queste sorgenti indesiderate di particelle, andando ad esempio sottoterra.

E qui entra in gioco l’esperimento CUORE, uno dei numerosi esperimenti che cercano il doppio decadimento beta, ma comunque uno dei più promettenti. CUORE si trova nel cuore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, protetto da strati su strati di roccia in grado di schermare i detector che cercano il segnale tipico del doppio decadimento beta (cioè l’emissione di due elettroni dal nucleo).

Il problema è che la sensibilità dei detector richiesta è soddisfacente solo se si lavora a temperature molto vicine allo zero assoluto.

Sia chiaro: non parliamo dello zero Celsius, ma dello zero Kelvin (cioè 273 gradi sotto lo zero Celsius). L’esperimento CUORE è stato in grado di raggiungere temperature dell’ordine del millesimo di Kelvin, cioè poco maggiori di 0.001 Kelvin, questo al fine di ottenere sensibilità sperimentali in grado di discernere, con sufficiente accuratezza, il segnale del doppio decadimento beta dal segnale delle altre eventuali fonti di radioattività naturale. Questo fa di CUORE “il metro cubo più freddo dell’Universo”.

Ecco cosa dovrebbe succedere in uno scenario positivo e idealizzato:

Nell'ipotesi che il nucleo decada con doppio decadimento beta senza neutrini, nel processo vengono emessi due elettroni. Il nucleo si trova all'interno di un materiale cristallino mantenuto a temperature dell'ordine del millesimo di Kelvin. I due elettroni uscenti dal nucleo depositano una certa energia nel cristallo, e questa energia viene captata da un detector, che a queste temperature ha la sensibilità sufficiente per distinguere l'energia degli elettroni dal rumore circostante. 
L'energia viene registrata dal detector: se essa corrisponde al calcolo teorico caratteristico del processo, allora con una buona probabilità il neutrino è una particella di Majorana!
Un gruppo di ricercatori di CUORE esegue dei controlli sulla struttura che contiene il materiale nucleare candidato per il decadimento cercato.

Ribadiamo un fatto fondamentale: se il neutrino NON è una particella di Majorana, non osserveremo mai il doppio decadimento beta senza neutrini.
Finora l’esperimento CUORE, in accordo con altri esperimenti internazionali, non ha trovato evidenza del decadimento (ultimi dati del 2020). Ciò NON esclude che i neutrini siano particelle di Majorana, perché dobbiamo ancora raggiungere la sensibilità sperimentale sufficiente (abbassare la temperatura purtroppo non basta, serve anche riuscire ad eliminare completamente il rumore ambientale che può influenzare i detector e coprire il segnale che stiamo cercando).

A fini divulgativi (almeno a un livello universitario), ho cercato di mettere assieme una guida per lo studente interessato alla questione del doppio decadimento beta e alle difficoltà sperimentali di CUORE:

Clicca qui per il download

Lo scopo era quello di fornire una referenza più completa e al contempo succinta possibile, poiché l’argomento è in continua evoluzione e ricco di letteratura specializzata (citata in bibliografia).


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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