“E questa…chi l’ha ordinata?” La particella che contribuì a verificare la Relatività

A cavallo degli anni ’30 del secolo scorso, la fisica delle particelle si trovava in una fase di rapida evoluzione:

Insomma, questa timeline poteva far pensare che stessimo avanzando a passo spedito verso una comprensione delle interazioni nucleari (oggi note come interazioni forti). Perciò è facile comprendere l’esclamazione iconica del fisico Isidor Rabi quando si concluse che la nuova particella scoperta da Carl Anderson e Seth Neddermeyer nel 1936 (che oggi sappiamo essere il muone) non partecipava alle interazioni nucleari forti, cioè non era il pione teorizzato da Yukawa, ma era anzi un “cugino più ciccione” dell’elettrone:

E questa…chi l’ha ordinata?

I.I. Rabi (premio Nobel 1944)

Chi ha ordinato un cugino più ciccione dell’elettrone? In gergo da fisici significa: questa particella non ci aiuta ad avanzare le nostre comprensioni del nucleo dato che non sente l’interazione forte, quindi a che pro la sua esistenza? Che cosa ce ne facciamo di un elettrone più massiccio? E inoltre, perché è tipo 200 volte più massiccio dell’elettrone, ma ha uguale carica elettrica e spin?

La massa del muone è circa 200 volte quella dell’elettrone, ma hanno stesso spin e carica elettrica.

È vero, è vero, la scienza non si occupa dei “perché”, ma cerca di sfruttare ogni scoperta al fine di migliorare la condizione sociale e culturale dell’umanità.

In questo senso, la scoperta del muone ha avuto una grande importanza non solo per la fisica delle particelle, ma anche per una delle prime verifiche della celebre dilatazione temporale prevista dalla Relatività Ristretta. In questa verifica c’è un pezzo di Italia: il fisico veneziano Bruno Rossi.

L’ innovazione di Bruno Rossi 

Nell’anno della scoperta del muone, Bruno Rossi insegnava fisica sperimentale a Padova, ed era già un nome affermato nel campo della fisica dei raggi cosmici. Questi ultimi venivano osservati da un paio di decenni e consistevano in particelle cariche ionizzanti che si formavano nell’atmosfera, a causa (come si scoprì) dell’impatto tra gli atomi atmosferici e particelle altamente energetiche (principalmente protoni) provenienti dalle profondità del cosmo. Fu proprio da queste collisioni che venne scoperto il muone. 

Un giovane Bruno Rossi (sinistra) con Enrico Fermi, al primo congresso internazionale di fisica nucleare di Roma. 

Rossi era riservato, mite e profondamente artistico (era un grande ammiratore di Dante Alighieri), ed era descritto dai suoi colleghi come una personalità “complessa, un po’ da poeta e un po’ da scienziato”. Gli fu sottratto il posto da insegnante nel 1938 per via delle leggi razziali italiane, e fu quindi costretto ad emigrare. Dopo un soggiorno a Manchester, si trasferì definitivamente negli Stati Uniti su invito dell’università di Chicago per la partecipazione a un simposio proprio sul muone, la nuova particella. 

Rossi aveva grande manualità nella costruzione di circuiti in grado di rivelare il passaggio di queste particelle, tant’è che alcune sue invenzioni sono poi diventate lo standard nel campo della fisica dei rivelatori. Dopo il simposio di Chicago, si occupò di dimostrare che il muone è una particella instabile, e riuscì a inferire che il suo tempo medio di decadimento doveva essere di circa 2 microsecondi. Questa fu la prima dimostrazione sperimentale del decadimento di una particella sub-nucleare. 

È molto probabile che, mentre stai leggendo, alcuni muoni derivanti dai raggi cosmici ti stiano attraversando dall’alto verso il basso.

La dilatazione dei tempi

Il punto fondamentale è che questo tempo medio di decadimento del muone è riferito rispetto al sistema di riposo della particella.

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Il ragionamento è questo: le particelle non amano stare ferme, questi muoni sono prodotti in collisioni nell’alta atmosfera, dopodiché si dirigono a grande velocità verso il suolo terrestre. Se ci mettiamo in un sistema di riferimento solidale a un muone (cioè ci muoviamo nella sua stessa direzione e con la sua stessa velocità in modo che, rispetto a noi, risulti fermo), e cronometriamo dal momento in cui è prodotto al momento in cui decade, il tempo che passerà ammonta a circa 2 microsecondi, come è possibile calcolare con la teoria di Fermi dell’interazione debole.

La velocità dei muoni è una frazione apprezzabile della velocità della luce, per cui diventa apprezzabile la natura interconnessa tra spazio e tempo prevista dalla relatività speciale di Einstein. Prendiamo due eventi temporali che accadono nello stesso punto dello spazio, la distanza temporale la chiamiamo \Delta \tau. Gli stessi eventi temporali, visti ora da qualcuno che si muove a velocità v rispetto a prima, sono invece distanziati temporalmente di una quantità \Delta t relazionata a \Delta \tau secondo la celebre formula:

dove c è la velocità della luce. Vediamo che per v\to c il denominatore approccia zero, e dunque \Delta t cresce molto: si ha una dilatazione dei tempi dal punto di vista dell’osservatore che vede i due eventi verificarsi in punti diversi dello spazio (per via del suo moto relativo). Questo è il contenuto teorico della relatività ristretta: a basse velocità v\to 0 rispetto alla velocità della luce, si ha approssimativamente che \Delta t\approx \Delta \tau, cioè il tempo ha la stessa durata per tutti, come siamo abituati nella nostra quotidianità.

Sinistra: grazie alla dilatazione dei tempi, siamo in grado di rivelare i muoni. Destra: se non ci fosse la dilatazione dei tempi, i muoni decadrebbero dopo 600 metri.

L’ esperimento di Rossi e Hall

Nel caso dei muoni, gli eventi “creazione” e “decadimento” del muone avvengono nello stesso punto dello spazio dal punto di vista del muone (secondo il muone, siamo noi a muoverci mentre lui è fermo nel suo sistema di riferimento). Se non esistesse la relatività speciale e il tempo di decadimento del muone fosse quello a riposo, li vedremmo decadere dopo aver percorso solo circa 600-700 metri.

    \[L\approx \underbrace{(0.9\cdot c)}_\text{velocità}\times (2.2*10^{-6})\text{ s}\approx 600\,\text{m}\]

Dato che i muoni vengono prodotti dalle collisioni dei raggi cosmici con l’atmosfera a circa 15 km di altezza rispetto al livello del mare, ciò significherebbe che non saremmo in grado di rivelarli neanche nelle cime montuose più alte del pianeta: decadrebbero ben prima!

Grazie ai suoi apparecchi sperimentali, nel 1940 Rossi riuscì a verificare la seguente relazione tra distanza percorsa L dei muoni e la loro energia E:

m_\mu è la massa del muone, \Delta \tau è il suo tempo di decadimento a riposo, pari a circa 2 microsecondi.

la quale discende direttamente dalle formule della relatività ristretta. Bastava quindi verificare che il rapporto tra distanza percorsa ed energia dei muoni doveva essere una costante pari a \Delta \tau/(m_\mu c). Rossi e Hall eseguirono l’esperimento sia a Echo Lake (3240 metri) che a Denver (1616 metri) in Colorado, e la verifica ebbe successo!

I muoni riuscivano a raggiungere altitudini così basse grazie alla dilatazione temporale: rispetto a noi, il loro tempo di decadimento è più lungo, dunque percorrono una distanza maggiore prima di decadere.

Quindi, 35 anni dopo la sua formulazione, nel 1940 la Relatività Ristretta superò uno dei primissimi test di validità, e tale test riguardava proprio uno degli aspetti più controversi: la dilatazione temporale. Ciò non sarebbe stato possibile senza l’ausilio dei raggi cosmici (che mettono a disposizione una quantità generosa di particelle con cui far “giocare” i fisici) e l’expertise di Rossi e gli altri fisici delle astroparticelle dell’epoca.

La precisione con cui Rossi e i suoi collaboratori riuscirono ad estrarre i parametri dei muoni è lodevole, nonostante fossero esperimenti condotti agli albori dell’elettronica dei rivelatori. Oggi un rivelatore di muoni può essere costruito anche a casa, ad un costo non troppo distante dai 100€, come illustrato qui: http://cosmicwatch.lns.mit.edu/detector#cosmicwatch.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la specializzazione in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, studia simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard, interessandosi anche di Relatività Generale.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).