Come la gravità ci impedisce di misurare distanze più piccole della lunghezza di Planck

Uno dei punti fondamentali per la conquista dell’unificazione tra gravità e meccanica quantistica riguarda la comprensione dello spaziotempo a una scala subatomica di lunghezza.

Lo spaziotempo è essenzialmente un concetto classico: possiamo immaginarcelo come una struttura invisibile che può essere descritta utilizzando i numeri reali (cioè quelli della quotidianità: 2.3, 0.01, \pi, e^{-\pi/2}, -3/4, 2.9999...).

Come immaginiamo la griglia dello spaziotempo curvata dalla massa.

I numeri reali costituiscono un insieme non numerabile, in parole povere non solo abbiamo a disposizione un’infinità di numeri da -\infty a +\infty, ma anche che tra due numeri come 0 e 1 è compresa un’altra infinità di numeri. Inoltre è anche un insieme continuo, cioè dato un certo numero x, è sempre possibile trovare un altro numero y sufficientemente “vicino” al primo in modo che la distanza x-y tra i due si avvicini a zero fino alla cifra decimale che si desidera.
Nei numeri interi, invece, la distanza tra due numeri può solo coincidere con lo zero nel caso in cui i due numeri siano uguali, altrimenti esiste una distanza minima che è quella che riguarda due numeri consecutivi come 4 e 5.

Ecco, classicamente si pensa che lo spaziotempo possa essere descritto con un insieme di numeri reali piuttosto che di numeri naturali. Non è definita una distanza minima se non quella uguale a zero.

Cosa succede quando tiriamo in ballo la meccanica quantistica?

Ispirato dal seguente brillante articolo di Calmet, Graesser e Hsu pubblicato nella Physical Review Letters, ho deciso di volgarizzare un ragionamento che ho trovato molto intrigante, dato che su questi temi si discute sempre pochino e male.

Immaginiamo di avere un certo detector per rivelare la distanza tra due punti x(t) e x(0) nella griglia dello spaziotempo, uno al tempo t=0 e l’altro al tempo t.
Supponiamo per semplicità che il detector, di grandezza L e massa M, misuri questi due punti spostandosi con una velocità v=p/M dove p è la sua quantità di moto. Avremo cioè

Il discorso che sto per fare ora si basa su un’approssimazione euristica al fine di scongiurare l’introduzione di operatori quantistici, dato che aggiungerebbero poco o niente alla sostanza del discorso principale.

Una volta misurate le posizioni x(t) e x(0) con una certa incertezza \Delta x(t) e \Delta x(0), possiamo anche stimare l’incertezza sulla quantità di moto \Delta p usando le formule sulla propagazione delle incertezze:

Considerando ad esempio il punto x(t), varrà il principio di indeterminazione di Heisenberg:

A questo punto sostituiamo dentro il principio di Heisenberg l’espressione di \Delta p=(M/t)[\Delta x(t)+\Delta x(0)] trovata con la propagazione delle incertezze. Trascurando termini quadratici del tipo (\Delta x(t))^2 essendo più piccoli di un ordine di grandezza, si arriva a una relazione interessante:

Le incertezze sulla posizione iniziale e finale sono legate da un principio di indeterminazione, il cui valore aumenta all’aumentare del tempo. Di sicuro questa è una relazione interessante.
Ancora più interessante è chiedersi quale sia l’incertezza sulla distanza tra x(t) e x(0), cioè s=x(t)-x(0). Anche ora, per via della propagazione degli errori, si ha che

    \[\Delta s=\Delta x(t)+\Delta x(0)\]

Se \Delta x(t) diminuisce allora \Delta x(0) aumenta al fine di mantenere vera la \Delta x(0)\Delta x(t)\ge \frac{\hbar t}{2M}, quindi \Delta s è limitato dal valore più grande tra \Delta x(0) e \Delta x(t).

Nel caso in cui \Delta x(t)\approx \Delta x(0) cioè misuriamo i punti x(t) e x(0) con incertezze circa uguali, il principio di indeterminazione fornisce:

Quindi da un punto di vista quantistico possiamo misurare una lunghezza spaziale con una precisione

Dove ricordiamo, t è il tempo che abbiamo lasciato correre tra una misura e l’altra, e M è la massa del nostro detector (che abbiamo fatto interagire con lo spazio attorno a sé lasciandolo muovere liberamente).
Controllando questi due parametri possiamo rendere \Delta s piccolo a piacere. Possiamo costruire un detector molto massivo e fare tante misure consecutive separate da intervalli di tempo t molto piccoli.
Rendendo piccolo il rapporto t/M possiamo rendere \Delta s piccolo a piacere.

Tutto ciò andrebbe bene in un mondo in cui non esiste la gravità. Questo è il messaggio da portare a casa! Se non ci fosse di mezzo la gravità, come puoi vedere, nulla impedirebbe di rendere \Delta s piccolo a piacere (anche se non può mai essere nullo, per via del principio di Heisenberg).

L’intervento della gravità

Ho mentito, non possiamo rendere t piccolo a piacere! Se L è la dimensione del nostro detector, dobbiamo considerare dei tempi t tali che t>L/c cioè maggiori del tempo impiegato dalla luce a percorrere il nostro detector (altrimenti solo una frazione del detector può essere considerato “detector”).

Inoltre non possiamo rendere M grande a piacere: se rendiamo M troppo grande rispetto alle dimensioni L del detector, questi potrebbe collassare in un buco nero, e ciò impedirebbe di leggere qualsiasi informazione sulle misure del nostro esperimento. Il parametro di lunghezza fondamentale di un buco nero è dato dall’orizzonte degli eventi

    \[r_s\sim \frac{GM}{c^2}\]

dove G è la costante di gravitazione di Newton e c la velocità della luce.

Affinché il detector non sia un buco nero da cui non escono informazioni, desideriamo che sia L>r_s. Mettendo tutto assieme avremo quindi

La quantità risultante è identificata come lunghezza di Planck \ell_p, definita come:

La lunghezza di Planck, costante fondamentale della Fisica.
Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

Non c’è nessun parametro che possiamo controllare nella formula della lunghezza di Planck: è composta da costanti fondamentali della Fisica come G, \hbar, c (costante di gravitazione di Newton, costante di Planck e velocità della luce). Quindi \Delta s\ge \ell_p è un limite inferiore che non possiamo sormontare in alcun modo ingegnoso: la gravità impedisce di misurare distanze più piccole della lunghezza di Planck.

Se vuoi sapere da dove spunta fuori la lunghezza di Planck da un punto di vista storico, ho scritto un articolo a riguardo.

Quanto è piccola una lunghezza di Planck nelle nostre unità di misura quotidiane? \ell_p\sim 10^{-33}\,\text{cm}, ovvero 10^{-25} volte il raggio tipico di un atomo. Per enfatizzare, il numero 10^{-25} corrisponde a 24 cifre dopo lo zero, cioè qualcosa del tipo 0.\underbrace{000.....0}_{24}1. Giusto per intenderci.

Il punto fondamentale è che se non ci fosse la gravità, non esisterebbe una lunghezza minima misurabile e potremmo rendere piccola a piacere l’incertezza quantistica della misura!

Ad avere l’ultima parola sulle dimensioni spaziali subatomiche non è quindi la quantistica, ma la gravità!
Questo risultato è molto significativo per la Fisica! Perché?

Quando si effettuano esperimenti di Fisica delle interazioni fondamentali (come le collisioni tra particelle) si esplorano scale di energia sempre più alte (che equivale a dire: si esplorano regioni di spazio sempre più piccole). La presenza di una scala di lunghezza sotto la quale non si può andare implica anche l’esistenza di una scala di energia sopra la quale non si può andare (perché la gravità diventerebbe rilevante e si inizierebbe a parlare di collasso in buco nero, avendo accumulato tanta energia in una regione di dimensioni molto ridotte). Un altro pezzo del puzzle per la lunga scalata che ci porterà verso la gravità quantistica?


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la magistrale in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, fa ricerca sulle simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard.

È membro della Società Italiana di Fisica.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Perché secondo Rovelli la Relatività suggerisce di abbandonare il concetto di spaziotempo

Durante il secolo scorso, la Relatività Generale si è presentata con il più grande colpo di scena che la Fisica abbia mai visto:

L’interpretazione ortodossa della relatività generale: esiste uno spaziotempo che viene curvato dalle sorgenti di massa.
Le altre masse non possono fare altro che “seguire la curvatura” e quindi essere attratte.

Il campo gravitazionale non esiste, la gravità è il risultato della curvatura dello spaziotempo.

Chiunque si sia mai interessato di relatività generale si è quindi abituato a visualizzare questa affermazione con la splendida rappresentazione dello spaziotempo “curvato”.

Lo spaziotempo è per noi una “griglia immaginaria” che esiste fin dal Big Bang, una qualche costruzione geometrica su cui si collocano tutti gli eventi della nostra realtà.
Questi eventi possono essere descritti con le coordinate che vogliamo, e queste coordinate vanno a strutturare il palcoscenico matematico a cui diamo il nome “spaziotempo” dal punto di vista dei calcoli. Ma in ogni caso stiamo sempre assumendo che questa griglia invisibile e sottostante esista sempre, e in genere diamo anche a lei il nome di spaziotempo.


Di sicuro è una rappresentazione che ci consente di fare i conti in maniera molto comoda, ma ciò ha un determinato prezzo da pagare.

Questa rappresentazione assume in qualche modo che lo spaziotempo esista indipendentemente dalla materia e da ogni altra sorgente di energia, e questo è proprio ciò che sancisce il divorzio completo con la visione “quantistica” delle interazioni, come illustrato nel seguente schema:

Ciò pone non pochi problemi dal punto di vista della gravità quantistica, la quale si ritrova a dover mediare tra due visioni nettamente diverse! Nonostante ciò, entrambe le teorie funzionano in maniera impeccabile nei loro rispettivi campi di applicazione. In particolare anche la relatività generale ha ricevuto l’ennesima schiacciante conferma di validità secondo i dati recenti sull’osservazione del buco nero al centro della nostra galassia (EHT).

Eppure, nonostante sia data per scontata, questa interpretazione dello spaziotempo in relatività generale è tutt’altro che definitiva.

Di recente mi è capitato di studiare dei paragrafi del testo specialistico “Quantum Gravity” di Carlo Rovelli, incappando in un’osservazione che ritengo di altissimo valore concettuale e che aiuta a risolvere un importante paradosso delle equazioni di Einstein.

In realtà questa argomentazione non è dovuta solo a Rovelli, ma risale fino agli albori della relatività generale. È il cosidetto “hole argument” di Einstein, il quale giunse alle importanti conclusioni illustrate anche da Rovelli.

Un paradosso molto arguto

Immaginati una regione nello spaziotempo senza sorgenti di gravità, cioè senza massa o altre forme di energia come quella elettromagnetica. Magari questa regione di spaziotempo la prendiamo piccola a piacere per non complicarci le idee.

Con il simbolo delle tre ondine increspate, intendiamo uno spaziotempo curvo in quel punto.

Considera ora due punti A e B in questa regione vuota, e supponi di essere in grado di misurare la curvatura dello spaziotempo in entrambi i punti. Per intenderci, definiamo lo spaziotempo con il simbolo g_{\mu\nu}.

Per via di una particolarissima disposizione delle sorgenti esterne alla regione che stiamo considerando, supponi che lo spaziotempo sia curvo nel punto A e piatto nel punto B.

Ora usufruiremo del nome “Relatività Generale”, che non è stato assegnato a caso! Questo nome testimonia il postulato fondamentale su cui è basata tutta la teoria: la Fisica non può dipendere dalle coordinate di chi la osserva. Quando passiamo da un sistema di coordinate ad un altro stiamo eseguendo una trasformazione che chiamiamo \phi. Quando lasciamo agire \phi su una quantità “e“, otteniamo il suo trasformato \bar{e}=\phi\,e indicato con \bar{e}. Le quantità importanti della relatività generale non cambiano sotto la trasformazione \phi.

Se io calcolo una soluzione delle equazioni di Einstein che mi restituisce il valore della curvatura dello spaziotempo, il quale dipende da g_{\mu\nu}(x) in ogni suo punto x, allora un cambiamento di coordinate ottenuto con la trasformazione \phi genererà un’altra soluzione delle stesse equazioni, che ha la stessa validità della soluzione precedente.

Il punto è che \bar{g}_{\mu\nu} risolve le stesse equazioni di Einstein con le stesse sorgenti, non è cambiato nulla rispetto a prima. Cambia solo il linguaggio in cui abbiamo espresso g_{\mu\nu} (cioè le coordinate particolari che utilizziamo).

Supponiamo di trasformare le nostre coordinate in modo da mandare il punto A nel punto B e lasciare invariati tutti gli altri punti al di fuori del buco. Anche la soluzione delle equazioni di Einstein trasformerà come \bar{g}=\phi\,g. In sostanza, abbiamo fatto la seguente cosa:

Una trasformazione che lascia invariato tutto lo spazio tranne i punti all’interno della regione vuota. Dopo la trasformazione lo spaziotempo presenta una curvatura nel punto B , mentre la curvatura è nulla nel punto A.

Nelle nuove coordinate lo spaziotempo nel punto A è quindi piatto, mentre ora è curvo nel punto B.

Ripeto, \bar{g}_{\mu\nu} è una soluzione altrettanto valida, e la trasformazione che abbiamo fatto è consentita dalle leggi della Relatività Generale.

Ma allora lo spaziotempo nel punto A è piatto oppure curvo? Ci troviamo di fronte a un paradosso, come se le equazioni di Einstein fossero completamente inutili perché non sono in grado di descrivere lo spaziotempo univocamente.

Questo aspetto turbò gravemente Einstein in persona, tanto da fargli dubitare più volte che il principio di relatività generale avesse senso fisico.

In realtà, come fa notare Rovelli, la soluzione del paradosso sta nel ripensare la nozione di “punto dello spaziotempo”, o in generale: smetterla di attribuire tanta importanza a una griglia immaginaria come lo spaziotempo.

In realtà stavamo risolvendo un problema sbagliato.

La domanda fondamentale “com’è lo spaziotempo nel punto A? Ha in realtà meno significato di quello che pensavamo. Il problema era mal posto, o meglio, non aveva senso considerarlo un problema.

In Relatività Generale assumiamo l’esistenza di questa griglia invisibile chiamata “spaziotempo”, dandole un significato intrinseco che è maggiore di quello che realmente ha.
Nonostante accettiamo senza problemi il fatto che possiamo usare qualsiasi tipo di coordinate vogliamo per elencare i punti di questa griglia, qualcosa nella nostra intuizione ci porta a credere che la griglia abbia davvero un significato fisico.

Una rappresentazione bidimensionale della griglia spaziotemporale che ci immaginiamo nella nostra testa.

Il concetto di griglia ha però, come molti altri concetti, solo una natura strumentale. Spesso ci permette di capire ciò che stiamo facendo, ma non dovremmo dargli un significato ontologicamente maggiore di quello strumentale, o almeno questo è il suggerimento di Einstein e Rovelli.

Hai visto come il domandarci quale fosse la curvatura dello spaziotempo in uno specifico punto ci ha portato al paradosso che le equazioni di Einstein descrivono due cose diverse con due soluzioni che dicono in realtà la stessa cosa? Stavamo risolvendo un problema sbagliato, questo è l’errore a cui siamo condotti se non seguiamo il suggerimento.

Considera invece questa situazione: supponiamo che nel punto A si incrocino anche le traiettorie spaziotemporali di due particelle (cioè le loro geodetiche):

Le geodetiche delle particelle sono indicate con la linea tratteggiata blu.

Le coordinate con cui descriviamo il punto A adesso racchiudono non solo l’informazione sulla curvatura dello spazio tempo g_{\mu\nu}, ma anche l’informazione “si sono incrociate le geodetiche delle due particelle!“.
Anche le geodetiche dipendono dalle coordinate che utilizziamo, quindi se ora eseguiamo la stessa trasformazione di coordinate di prima, cioè mappiamo un punto nell’altro, dobbiamo spostare anche il punto di incontro delle geodetiche!

Come vedi ora sia la curvatura dello spaziotempo sia il punto di incontro delle geodetiche sono stati trasportati dal punto A al punto B. Supponiamo di voler rispondere, grazie alle equazioni di Einstein, alla seguente domanda:

“Com’è la curvatura dello spaziotempo nel punto in cui si incontrano le geodetiche delle due particelle?”

Questa domanda, a differenza di prima, è tutta un’altra questione: è ben posta ed ha una soluzione univoca data dalla soluzione delle equazioni di Einstein. Come puoi vedere, sia prima che dopo la trasformazione di coordinate esiste una curvatura nel punto di incontro delle due geodetiche. Lo spaziotempo è curvo nel punto in cui le due geodetiche si incontrano. Questa informazione non dipende da quali coordinate stiamo utilizzando. Quindi è questa la vera domanda da porsi in una situazione simile.

La Relatività Generale ci suggerisce che la griglia immaginaria ha molto meno significato fisico di quello che credevamo: ha poco senso fisico chiedersi quale sia il valore della curvatura dello spaziotempo in un suo specifico punto senza introdurre campi di materia o interazioni tra particelle che possano interagire in quel punto.

Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

Uno spaziotempo senza materia e particelle non ha significato fisico, la realtà non è composta da spaziotempo e campi, ma da campi su campi, secondo Rovelli. Possiamo fare affermazioni fisicamente sensate solo nel momento in cui iniziamo a relazionare campi di materia con altri campi di materia (come l’incrocio delle due geodetiche visto nell’esempio).

Questo punto di vista capovolge ancora una volta il significato che attribuiamo alla Relatività Generale: non è che la gravità non esiste ed è solo lo spaziotempo a farci sembrare che ci sia, sono le interazioni con le particelle che danno un significato fisico allo spaziotempo. Lo spaziotempo emerge grazie alle particelle, e non il contrario. Per la gravità quantistica questa interpretazione è nettamente più favorevole in quanto il mediatore smette di essere indipendente dalla materia che interagisce (vedi lo schema fatto all’inizio).

Gli oggetti non sono immersi nello spazio. Gli oggetti costituiscono lo spazio. Come un matrimonio: non è che marito e moglie “percepiscono il matrimonio”, loro sono il matrimonio, lo costituiscono. […] Allo spazio non rimane nulla se togli tutte le cose che lo abitano. Lo spazio è costituito dalle cose.

Carlo Rovelli

Si nasconde forse qui il segreto per iniziare a conciliare gravità e meccanica quantistica?

Secondo me questo paradosso meriterebbe di essere illustrato maggiormente nei libri di testo introduttivi di Relatività Generale, perché nasconde il cuore concettuale della materia. Per questo motivo ho pensato di portare in superficie l’osservazione di Rovelli, uno dei pochi autori moderni che ha scelto di parlarne a un secolo di distanza.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Come l’antimateria nasce dalla relatività

Antiparticella = particella di uguale massa, ma con carica elettrica opposta

Il concetto di antimateria si è imposto praticamente da solo e prepotentemente, senza che nessuno lo abbia cercato di proposito, nel momento in cui sono state unificate meccanica quantistica e relatività ristretta alla fine degli anni ’20. Le prove sperimentali arrivarono fin dai primi anni ’30.
Oggi siamo in grado di produrre antimateria anche a fini medici (si pensi alla PET dove si sfruttano gli anti-elettroni, noti come positroni).

Ha un fascino particolare provare a seguire il percorso concettuale che, dalla relatività di Einstein, ha condotto alla teorizzazione dell’antimateria (dovuta a Dirac).

Facciamo finta di star scoprendo noi stessi il concetto di antiparticella in questo momento, e ripercorriamo tutte le tappe logiche fondamentali in cui potremo apprezzare il ruolo fondamentale giocato dalla teoria di Einstein.

L’energia di una particella

Nella meccanica quantistica ordinaria l’energia di una particella libera avente una quantità di moto p e una massa m si trova inserendo dentro l’equazione di Schrödinger la soluzione di onda piana (che è il modo quantistico di dire “particella esente da forze”). Il risultato è

La relatività di Einstein impone invece che tale espressione matematica per l’energia sia solo la versione approssimata della seguente

c è la velocità della luce

nell’approssimazione di quantità di moto molto piccole rispetto all’energia di massa. Fin qui nessun problema, la Fisica funziona così: quella che oggi sembra la forma definitiva di un’equazione, sarà l’approssimazione della versione più completa scoperta in futuro.

Il vero problema nasce quando si tenta di rendere l’equazione di Schrödinger relativistica

Lo schema è lo stesso: l’equazione non relativistica è solo l’approssimazione di quella relativistica, la quale, ad oggi, è la “vera equazione del moto” in quanto rispetta il principio di relatività di Einstein.

Il principio di relatività cambia la struttura matematica dell’equazione di Schrödinger, e se si prova a calcolare l’energia di una particella libera inserendovi al suo interno una soluzione di onda piana, si ottiene stavolta l’energia in questa forma curiosa e problematica

“Scusa, ma dove sta il problema? Abbiamo appena detto che la vera energia di una particella è data da quell'espressione brutta con m e c al quadrato e così via, non siamo contenti che l'equazione relativistica di Schrödinger restituisca la stessa energia per la particella libera?"

Il punto è che la struttura matematica dell’equazione di Schrödinger relativistica ci pone ora dinanzi a due vie, perché non ci dà l’energia, ma l’energia al quadrato!

Prima o poi nella vita siamo stati tutti mazziati dalla seguente proprietà matematica:

Ora il gioco è lo stesso, per la prima volta in Fisica l’equazione del moto di una particella esente da forze ci impone che l’energia possa essere data sia da un numero negativo che da un numero positivo

“E che ci vuole? Buttiamo via la soluzione negativa come si fa a scuola. Non esistono particelle libere con energia negativa!"

Facciamo però l’avvocato del diavolo e scegliamo di ascoltare la matematica imposta dalla relatività ristretta (ha sempre portato bene nella storia della Fisica!). Facciamo finta che possa esistere una particella ad energia negativa.

Come si comporta una particella di energia negativa?

L’energia in meccanica quantistica è importante perché ci dice come si evolve, nel tempo, la dinamica di una particella. Tale evoluzione è descritta, in soldoni, da

è insomma un esponenziale di un certo numero (di Eulero) avente come esponente il prodotto tra il numero complesso “i”, l’energia “E” e il tempo “t”. Non soffermarti sul perché, non è questo il punto.

Concentrati solo sul fatto che l’evoluzione dipende dal prodotto tra energia e tempo.

Se l’energia di una particella è negativa, il prodotto viene mandato in:

Ed ora è il momento di dire la cruda verità: ai fisici non piace per niente il fatto che le particelle possano avere energie negative, perché ci sarebbero non pochi problemi riguardo alla stabilità stessa della materia (mancherebbe un limite inferiore all’energia, un fatto molto pericoloso perché la natura vuole sempre occupare stati a energia minore).

Ma allora è tutto da buttare?


Continuiamo a fare gli avvocati del diavolo. Forse c’è un modo interessante di interpretare quel segno meno nel prodotto.

Continuiamo a seguire ciò che ci ha insegnato la relatività ristretta sulla struttura spaziotemporale della nostra realtà.

Questione di interpretazione: lo spaziotempo di Einstein

Supponiamo di osservare due eventi (contrassegnati da “1″ e “2″) che accadono in due punti dello spazio e a due istanti di tempo diversi. Li annotiamo sul nostro taccuino come

Ipotizziamo che, secondo noi, l’evento 1 sia avvenuto prima dell’evento 2. Matematicamente chiediamo quindi che sia

Se un altro osservatore in moto con una velocità costante “v” rispetto a noi osserva gli stessi eventi, annoterà anche lui i due eventi sul suo taccuino usando le sue personalissime coordinate

Einstein ci ha insegnato a collegare le due descrizioni dello stesso evento con la seguente trasformazione:

dove “γ” è una quantità positiva che dipende dalla velocità, di cui non devi preoccuparti.

Preoccupiamoci invece di sottrarre le due equazioni di sopra per ottenere la differenza tra gli istanti di tempo dei due eventi rilevati dall’osservatore in moto, rispetto alle nostre coordinate (così per curiosità, perché non farlo?)

La matematica della relatività ci tenta di porre la seguente domanda “e se la differenza tra i due istanti di tempo per il secondo osservatore fosse negativa?”. Ciò si tradurrebbe in:

La seconda condizione è possibile se la velocità del secondo osservatore è tale che

A patto però, come dicono le regole di Einstein, che v non superi la velocità della luce. Cioè deve essere

L’ultima condizione ci dice che la distanza spaziale tra i due eventi deve essere maggiore della distanza percorsa da un raggio di luce (di velocità c) nel tempo che intercorre tra i due eventi stessi. Se gli eventi soddisfano questa particolare caratteristica, allora è possibile trovare un osservatore con una velocità v tale da rendere

ovvero l’ordine degli eventi è invertito per il secondo osservatore: secondo lui è successo prima l’evento “2″ dell’evento “1”.

In relatività ristretta è permesso che l’ordine temporale degli eventi possa essere invertito dal punto di vista di un osservatore in moto

“Aspetta un attimo, ma questo mi consentirebbe di vedere la gallina prima dell'uovo, no? Non c'è un problema di causa-effetto?"

Ottima osservazione, ma non c’è nessun problema! Infatti l’inversione temporale avviene solo per eventi che non possono essere connessi da alcuna relazione causale: non ci può essere trasmissione di informazioni tra eventi che distano nello spazio più della distanza percorribile dalla luce nel tempo che li separa! Lo abbiamo incluso tacitamente nella condizione:

“Ok...e quindi? Cosa c'entrano nella fisica gli eventi senza connessione causale? La fisica è fatta di causalità! Mi pare che tu stia a chiacchierare di metafisica!“

Ora interviene la meccanica quantistica!

Per il principio di indeterminazione di Heisenberg, è possibile che una particella si propaghi da un punto all’altro dello spazio anche se questi due punti non sono connessi causalmente.

Se una particella viene emessa in un punto A ed assorbita in un punto B (e tali punti non sono causalmente connessi per ipotesi) allora un osservatore che si muove con una certa velocità (calcolata sopra), vedrebbe l’assorbimento della particella nel punto B in un tempo che precede l’istante in cui viene emessa nel punto A.

Come si esce da questo paradosso?

L’interpretazione di Feynman-Stückelberg

Il fisico americano Richard Feynman

Torniamo al prodotto tra energia e tempo per quanto riguarda l’evoluzione temporale di una particella. Avevamo detto che se l’energia è negativa abbiamo

Immagina che io ti abbia bendato gli occhi e avessi messo il segno meno davanti al prodotto senza dirti a quale fattore è stato applicato. Potrei benissimo aver cambiato segno a “t” invece che all’energia, senza dirti nulla. Il risultato è a tutti gli effetti equivalente:

Matematicamente non cambia nulla, ma il risultato è rivoluzionario:

Una particella di energia negativa può essere pensata anche come una particella di energia positiva che si muove indietro nel tempo!

Questa è l’interpretazione di Feynman-Stückelberg, i quali volevano cancellare dall’esistenza il concetto di energia negativa. Dal punto di vista delle interazioni tra le particelle, la relatività prevede l’inversione temporale, come abbiamo discusso sopra.

“Ma che senso ha questa propagazione indietro nel tempo? A me pare ancora che si stia parlando di metafisica qui..."

Hai ragione. Infatti bisogna sedersi un attimo e ragionare su cosa significhi, dal punto di vista fisico, l’inversione temporale.

L’interpretazione dell’inversione temporale

Generalmente classifichiamo le particelle in base al modo in cui si comportano nelle interazioni fondamentali. In particolare ci interessa studiarne la traiettoria in una regione in cui è presente un campo elettromagnetico.

L’accoppiamento tra una particella e un campo elettromagnetico ha un nome tutto suo: la carica elettrica “q”.

La forza elettromagnetica su una carica “q” modifica la sua traiettoria accelerandola.

Le particelle descrivono traiettorie in una certa direzione, in base al segno della carica “q”, che può essere positivo o negativo.

Tra tutti i simboli dell’equazione appena scritta, concentriamoci solo sul tempo “τ“. Ci sono solo due termini che contengono il tempo esplicitamente, ed entrambi si trovano al denominatore ed appaiono come

Se invertiamo il tempo, otteniamo che il termine a sinistra non cambia (essendo un quadrato). Quindi cambia solo il secondo e si ha

Quindi sotto inversione temporale compare un segno meno globale per tutta l’equazione.
Ora immagina di nuovo che io ti abbia bendato gli occhi e avessi fatto spuntare fuori questo segno meno senza dirti che ho invertito il tempo. Potresti benissimo interpretare il segno meno in questo modo

Dal punto di vista sperimentale, l’effetto è quello di aver invertito il segno della carica elettrica. Le equazioni del moto relativistiche ci dicono che invertire il tempo si traduce, sperimentalmente, come il moto di una particella di carica elettrica opposta.

Una particella di energia positiva che si muove indietro nel tempo può essere interpretata come una particella di energia positiva, ma con carica opposta, che si muove avanti nel tempo.

Ecco che sparisce tutta la stranezza dell’inversione temporale! Ed ecco cosa ci ha insegnato la relatività ristretta applicata alla meccanica quantistica!

Le particelle ad energia negativa possono essere interpretate come delle particelle ad energia positiva che si muovono avanti nel tempo, ma che hanno carica opposta.

Oggi abbiamo un nome particolare per questo tipo di particelle che differiscono dalle particelle originali solo per il segno della carica elettrica e degli altri numeri quantici: le antiparticelle.

Una particella di energia negativa può essere interpretata come un’antiparticella di energia positiva che si muove, come tutte le altre particelle, avanti nel tempo. L’antiparticella differisce dalla particella solo per il segno della carica elettrica e di altri numeri quantici.

In questo modo abbiamo risolto anche il paradosso enunciato sopra:

Mettiamo che io veda una particella emessa in un punto A ed assorbita in un punto B. Come ci dice la relatività un altro osservatore potrebbe invece vedere una particella assorbita in B in un istante che precede la sua emissione nel punto A (se A e B non sono connessi causalmente). Ma ora sappiamo che ciò equivale ad osservare una particella di carica opposta che viene emessa in B ed assorbita in A. La causalità è salva.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la magistrale in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, fa ricerca sulle simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard.

È membro della Società Italiana di Fisica.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Il paradosso di Putnam: il futuro esiste già rispetto a noi?

In che modo, partendo dalle trasformazioni di Lorentz, possiamo dimostrare che il futuro coesiste con il presente? Per vederlo servono alcune argomentazioni metafisiche, unite a una rapida infarinatura sui diagrammi di Minkowski.
La relatività di Einstein ci ha insegnato a vedere il mondo da un punto di vista geometrico: tempo e spazio diventano un tutt’uno chiamato spaziotempo. In tale contesto il tempo viene misurato come una distanza spaziale semplicemente moltiplicandolo per la velocità della luce “c”. Gli eventi del mondo visto da un sistema di riferimento inerziale possono quindi essere individuati (se consideriamo una sola dimensione spaziale) da due coordinate: ct e x, cioè ci basta sapere quando è successo l’evento (ct) e dove è successo, cioè la posizione (x). L’insieme di tutti gli eventi può essere descritto quindi da un diagramma di Minkowski mostrato in figura 1.

Figura 1: diagramma di Minkowski in dimensione 1+1 (una dimensione spaziale e una dimensione temporale).

In tale diagramma le rette parallele all’asse x sono l’insieme degli eventi che avvengono simultaneamente (cioè ct=costante), mentre le rette verticali sono l’insieme degli eventi che avvengono nello stesso punto (cioè x=costante). Lo spaziotempo di un osservatore situato in O è diviso in 2 macroregioni: il suo futuro assoluto e passato assoluto (cioè ct>0 e ct<0), ciò significa che potrà ricevere segnali solo se da punti spaziotemporali contenuti tra le due bisettrici:

che nel diagramma di Minkowski (x,ct) sono quindi rette inclinate di 45 gradi rispetto all’asse x.

Se consideriamo un secondo osservatore inerziale in moto con velocità v, ci interessa di solito sapere con quali coordinate egli veda il mondo interno a sé, e magari esprimerle in funzione di quello che vede un altro osservatore inerziale (in Fisica è fondamentale saper tradurre cosa vedono due scienziati che usano coordinate diverse per descrivere la stessa cosa).

Come otteniamo questa trasformazione di coordinate tra i due osservatori? Le coordinate (ct’,x’) del secondo osservatore rispetto al primo si ottengono con le trasformazioni di Lorentz

in cui

Assumiamo che v sia la velocità relativa tra i due osservatori inerziali


Come si muove l’origine O’ , e cioè i punti x’=0 e ct’=0 del secondo osservatore, nelle coordinate del primo?
Sostituendo nella trasformazione di Lorentz, la traiettoria di O’ nel diagramma dell’osservatore O (cioè il suo asse verticale x’=0) è rappresentato dalla retta

cioè una retta che ha un’inclinazione 1/β rispetto all’asse x (come se avessimo una retta x=3y sul piano cartesiano (x,y) che ha quindi coefficiente angolare 1/3). Siccome nulla può superare la velocità della luce, è sempre v<c e allora è sempre β<1 , quindi

cioè le traiettorie degli osservatori inerziali sono sempre rette con inclinazione maggiore di 45 gradi, come detto prima (in modo da farle stare all’interno della regione del futuro assoluto).
Il diagramma di Minkwoski del secondo osservatore rispetto al primo sarà quindi dato graficamente da

Il punto focale è proprio il fatto che ora la linea di simultaneità degli eventi per il secondo osservatore è una retta parallela al suo asse ct’=0 (ovvero l’asse x’), ma tale asse ct’=0 ha invece un’inclinazione rispetto all’osservatore originale, cioè non è parallela rispetto al suo asse x, quindi tali eventi non sono simultanei per l’osservatore originale: nella relatività di Einstein gli osservatori non devono per forza concordare sulla simultaneità degli eventi.

Simultaneità e realtà per Putnam

Facciamo ora il gioco metafisico di Putnam per divertirci.

Ipotesi:

Diremo che un evento è ontologicamente reale rispetto a noi, se e solo se questo evento è simultaneo a noi. Questa definizione è piuttosto innocua ed è facile che metta d’accordo tutti. In realtà non è così innocua. Prendiamo un osservatore in moto con velocità v, che al nostro tempo t=0 si trova a una certa distanza da noi, cioè supponiamo che la sua origine O’ sia simultanea rispetto alla nostra origine O.

Come abbiamo visto dalle trasformazioni di Lorentz, gli assi minkowskiani del secondo osservatore sono inclinati rispetto a noi, quindi è possibile che la linea di simultaneità individuata da ct’=0 possa intersecare il futuro assoluto dell’evento collocato in O nel sistema di coordinate originale, ad esempio in un punto A.

Ma ct’=0 corrisponde proprio all’asse x’, il quale include, tra tutti gli eventi, ovviamente anche l’origine O’ . Ma tale origine era per costruzione simultanea a O, quindi se la simultaneità è transitiva allora il fatto che A sia simultaneo ad O’ e che O’ sia simultaneo a O, implica che O debba essere simultaneo ad A, cioè a un evento del suo futuro assoluto.

Per quanto sembri assurda, questa costruzione è geometricamente permessa, come si vede in figura, dalla metrica dello spaziotempo minkowskiano.

Se ora usiamo la condizione di Putnam, cioè che un evento è ontologicamente reale rispetto a noi se e solo se è a noi simultaneo, allora dobbiamo concludere che il nostro futuro esiste già rispetto a noi: futuro e presente coesistono.
Notiamo quindi come un’assunzione innocua, come dire “se un evento è a me simultaneo, allora coesiste con me”, possa portare, nel contesto della relatività, a un paradosso di proporzioni enormi.
L’argomento è più metafisico che fisico, ed è dibattuto ancora oggi nella corrente dell’eternalismo. Per maggiori informazioni su questo affascinante dibattito: Hilary Putnam: Time and Physical Geometry.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Molte idee chiave della relatività generale sono nascoste nel formalismo di Minkowski della relatività ristretta. Partendo da ciò, possiamo percorrere la strada concettuale che condusse Einstein al più grande cambio di prospettiva dopo Newton:

La gravità è una forza fittizia perché è eliminabile con un cambio di coordinate: un corpo in caduta libera non è accelerato, segue solo la traiettoria percorsa dai corpi liberi in uno spaziotempo curvo.

Matteo Parriciatu

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Matteo Parriciatu