Quel tremendo colloquio con Enrico Fermi che cambiò la carriera di Dyson

Ci sono svariati motivi per cui la Scienza, pur essendo una disciplina di matrice umana e quindi predisposta all’errore, riesce sempre a raddrizzarsi. Il motivo più cruciale è la spietatezza del giudizio tra pari: l’oggettività e il metodo scientifico non guardano in faccia nessuno.

Naturalmente per garantire il continuo raddrizzamento servono grandi personalità, che devono essere la base di ogni comunità scientifica. E non parlo di “grandi personalità” solo dal punto di vista accademico, servono grandi capacità relazionali e grande onestà intellettuale, anche a costo di dire qualcosa di molto scomodo. La scienza inizia a morire quando inizia a prendere piede il pensiero di gregge, dal quale nessuno ha il coraggio di discostarsi.
A capo del gregge servono dei pastori, pochi fari nella notte, ma sempre accesi e messi nei punti giusti.

In questo contesto, qualche tempo fa sono incappato in una storia condivisa da Freeman Dyson, che è stato uno dei più importanti fisici teorici del secondo novecento. Credo che questa storia riassuma perfettamente lo stato esistenziale del ricercatore: la ricerca è un mondo appassionante in tutti i sensi, passione emotiva e passione in senso latino, “patire, soffrire”.

Un po’ di contesto storico

Un tipico processo di elettrodinamica quantistica, un fotone virtuale viene scambiato tra due elettroni.

Alla fine degli anni ’40 si era raggiunta una soddisfacente descrizione dei processi atomici. L’unica forza fondamentale del mondo quantistico allora compresa, l’elettrodinamica quantistica, aveva come ingredienti i campi fermionici come elettroni, protoni e neutroni, e il campo elettromagnetico (rappresentato dal suo quanto di eccitazione, il fotone).
Come descritto in un precedente articolo, essendo il mediatore di un’interazione a raggio d’azione infinito, il fotone ha massa nulla. Un principio di simmetria, assieme alle nozioni dell’elettrodinamica classica, ci guidano a scrivere l’interazione elettrodinamica, come spiegato in un precedente articolo, con la seguente struttura:

L’accoppiamento tra campi fermionici ψ e il campo elettromagnetico Aμ.
L’intensità dell’interazione è specificata dalla carica dell’elettrone in unità fondamentali (unità di c=ℏ=1).
Freeman Dyson (1923-2020)

A partire da questa struttura, si è in grado di calcolare tutti i processi elettromagnetici possibili, e verificare l’accuratezza della teoria confrontando i valori ottenuti con i dati sperimentali. Questa era l’occupazione di Freeman Dyson e il suo gruppo di studenti. Dyson, allora un giovanissimo professore di Fisica Teorica alla Cornell, era riuscito con il suo gruppo ad ottenere uno spettacolare accordo tra le previsioni teoriche e i dati sperimentali: l’elettrodinamica era una teoria in grado di fare previsioni molto accurate.

Dopo questi successi, nel 1951 il gruppo di Dyson era alla ricerca di altri problemi da conquistare. Uno particolarmente promettente era il problema di studiare cosa tenesse assieme i nuclei: l’interazione nucleare.
All’epoca la Fisica Nucleare era una scienza prettamente empirica: i modelli teorici erano pochi, confusi e dallo scarso potere predittivo. Quello che era certo, almeno alla scala di energia che si esplorava all’epoca, è che il mediatore della forza nucleare doveva essere massivo (per sapere perché leggi qua) perché al di fuori del nucleo la forza nucleare cessava di esistere.
Se il mediatore dell’elettrodinamica era il fotone, il mediatore dell’interazione nucleare fu individuato nel pione. L’obbiettivo era quindi fare degli esperimenti in cui si facevano collidere pioni con altre particelle nucleari, per studiarne l’interazione.

Dyson e il suo gruppo, avendo avuto così tanto successo con il modello dell’elettrodinamica, decisero che la struttura migliore per l’interazione doveva essere molto simile:

L’accoppiamento tra i campi fermionici ψ e il campo del pione ϕ.
L’intensità dell’interazione è specificata dalla costante “g” , che ha un valore molto più elevato della costante di accoppiamento elettromagnetica “e”.
Un protone ed un neutrone interagiscono scambiandosi un pione neutro.
Nota la somiglianza con il diagramma dell’elettrodinamica.


Questa teoria era conosciuta come “teoria del pione pseudoscalare” , e il gruppo di Dyson ci lavorò a tempo pieno per due anni. Dopo uno sforzo di proporzioni eroiche, nel 1953 riuscirono a produrre delle predizioni teoriche in accettabile accordo con i dati disponibili all’epoca. La carriera di alcuni studenti di Dyson dipendeva dal successo di questa teoria, dato che erano per la maggior parte dottorandi o post-doc.

I dati sperimentali con cui confrontavano le loro previsioni teoriche erano stati raccolti da uno dei migliori fisici del novecento, nonché uno dei padri fondatori della ricerca nucleare: Enrico Fermi, professore a Chicago e al tempo uno dei leader nella costruzione del Ciclotrone con cui si studiavano le interazioni nucleari.
Fermi era anche uno dei migliori fisici teorici della sua generazione, quindi Dyson pensò fosse il caso di andare a trovarlo per discutere sul successo del proprio lavoro, prima di pubblicarlo.

Enrico Fermi (1901-1954), premio Nobel per la Fisica 1938.

L’incontro con Fermi

Nella primavera del ’53, Dyson si diresse a Chicago per andare a trovare Fermi nel suo ufficio, portando con sé una pila di fogli con alcuni grafici che riproducevano i dati sperimentali calcolati dal suo gruppo.

Fermi aveva la nomea di incutere una certa soggezione, di certo non solo per la sua fama di grande scienziato, ma anche per l’acutezza del suo giudizio. Quindi è facile immaginarsi che Dyson si sentisse un po’ teso per quell’incontro.
La sua tensione si trasformò presto in soggezione quando vide che Fermi diede solo un rapido sguardo ai fogli che gli aveva portato, per poi invitarlo a sedersi e chiedergli con un tono amichevole come stessero sua moglie e suo figlio neonato.

Dopo qualche chiacchiera, improvvisamente Fermi rilasciò il suo giudizio nella maniera più calma e schietta possibile

Ci sono due modi di fare i calcoli in Fisica Teorica. Il primo modo, che io preferisco, è di avere un chiaro schema mentale del processo fisico che vuoi calcolare. L’altro modo è di avere un preciso ed auto-consistente formalismo matematico. Voi non avete nessuno dei due.

Dyson rimase ammutolito, anche se la parte più orgogliosa di lui era comunque incredula. Quindi cercò di capire cosa non andasse, secondo Fermi, con la teoria del pione pseudoscalare.

Fermi aveva un intuito fisico eccezionale su cui fondò letteralmente una scuola di pensiero in grado di far fruttare ben 8 premi Nobel per la Fisica tra i suoi studenti.

La teoria del pione pseudoscalare, secondo il suo intuito, non poteva essere corretta perché a differenza dell’elettrodinamica l’interazione era molto più intensa e nei calcoli era necessario mascherare alcune divergenze senza avere un chiaro schema fisico di quello che stesse succedendo.

Inoltre, quando Dyson gli chiese, ancora orgogliosamente, come mai secondo lui i dati fossero comunque in accordo con le sue previsioni nonostante la teoria fosse inadeguata, Fermi gli fece notare che il numero di parametri utilizzato (quattro) era troppo alto, e che con un numero così elevato fosse possibile raggiungere un raccordo tra le previsioni teoriche e qualunque dato sperimentale.

In sostanza Fermi demolì, con estrema calma e schiettezza, gli ultimi due anni di lavoro dell’intero gruppo di Dyson, composto da dottorandi e post-doc la cui carriera in quel momento dipendeva dal successo di quella teoria.

La storia diede ragione a Fermi. La teoria del pione pseudoscalare non era quella corretta, al modello delle forze nucleari mancava un pezzo fondamentale del puzzle: i quark, teorizzati da Gell-Mann il decennio successivo, quando Fermi era già morto.

Dopo quell’incontro traumatico, Dyson e il suo gruppo pubblicarono comunque il lavoro, ma abbandonarono completamente quel campo di ricerca. Negli anni successivi, ripensando a quell’evento, Dyson espresse di essere grato eternamente a Fermi per quello “schiaffo” morale, perché la sua teoria non avrebbe portato nessun frutto e avrebbe fatto sprecare preziosi anni di ricerca a lui e al suo gruppo.


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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).