Quando Heisenberg propose che Protone e Neutrone fossero due stati della stessa particella

Nel 1932 James Chadwick scoprì una nuova particella, era elettricamente neutra e aveva circa la stessa massa del protone. Essendo la prima particella neutra scoperta, venne battezzata “neutrone” per ovvi motivi.

Werner Heisenberg (1901-1976), premio Nobel per la Fisica 1932.

Meno ovvia era invece la natura intrinseca di questa particella, specialmente in un epoca dicotomica come quella, anni in cui protone ed elettrone erano lo yin e lo yang della fisica particellare. Tutto doveva essere composto di pochissimi costituenti elementari: il protone e l’elettrone rappresentavano l’unità di carica positiva e negativa per antonomasia.

Quindi ogni altra particella di qualsiasi carica doveva essere una composizione di protoni ed elettroni. Ah, se solo i fisici di quegli anni avessero potuto immaginare il gigantesco zoo di particelle che sarebbe apparso solo 20 anni dopo!

Sempre nel 1932 il fisico teorico Werner Heisenberg (lo stesso del famoso principio di indeterminazione) fu uno dei primi a lavorare su una interpretazione teorica del neutrone. Il suo obbiettivo era una teoria delle interazioni nucleari (materia su cui si sapeva ancora pochissimo e le idee erano molto confuse). Si cercava di rispondere a domande come: cosa compone i nuclei? Da cosa sono tenuti assieme? Come si possono modificare o trasformare?

Addirittura prima del 1932 si credeva che i nuclei fossero composti da protoni ed elettroni (i secondi avevano lo scopo di neutralizzare parte della carica del nucleo), cosa che non poteva essere più distante dalla realtà.

Fu Heisenberg a introdurre un po’ di ordine: sfruttò subito la scoperta del neutrone per inserirlo all’interno dei nuclei. In questo modo non servivano gli elettroni dentro il nucleo: invece di mettere il doppio dei protoni era sufficiente che ce ne fosse solo la metà che corrisponde alla carica elettrica nucleare, la restante parte della massa che serviva a raggiungere l’accordo con gli esperimenti era garantita dalla presenza di alcuni neutroni.

Si spiega più semplicemente guardando questo esempio:

Lo stesso nucleo descritto prima e dopo la scoperta del neutrone.
Prima del 1932, al fine di spiegare la massa misurata sperimentalmente era necessario introdurre il doppio dei protoni. Ma per compensare la carica elettrica in eccesso si doveva postulare la presenza di elettroni nel nucleo.

In ogni caso Heisenberg aveva anche l’obbiettivo di provare a interpretare la natura del neutrone utilizzando lo “yin e lo yang”. D’altronde questa particella aveva lo stesso spin e circa la stessa massa del protone, saranno mica così diversi?
Immaginò quindi che il neutrone potesse essere composto da un protone e da una specie di “elettrone con spin nullo”. In questo modo carica positiva più carica negativa fa zero, e lo spin (che è 1/2 per il protone) sommato con lo spin zero di quella specie di elettrone ipotetico, faceva correttamente 1/2.

Questa teoria fu abbandonata quasi subito, ma l’elettrone e il suo spin rimasero comunque la principale fonte di ispirazione per il vero guizzo creativo di Heisenberg.

Anzitutto il fisico si soffermò su un aspetto peculiare:

Le masse di protone e neutrone sono quasi uguali: differiscono solo dello 0.14%.

In particolare, Heisenberg notò che se in un esperimento la strumentazione di laboratorio non fosse abbastanza sensibile da distinguere questa differenza in massa, e se fossimo in grado di “spegnere” ogni tipo di interazione elettromagnetica, non saremmo nemmeno in grado di distinguere un protone da un neutrone!

Anzi, Heisenberg fece un passo ancora più lungo: la piccolissima differenza in massa tra protone e neutrone può essere ricondotta all’elettromagnetismo: il protone, essendo carico elettricamente, riceve dei contributi elettromagnetici che abbassano leggermente la sua massa rispetto a quella del neutrone (così si pensava all’epoca).

Come anticipato, Heisenberg prese ispirazione dal problema dello spin di un elettrone.
Già dagli anni ’20 si sapeva che lo spin di un elettrone era una quantità speciale che poteva assumere solo due valori distinti, per convenzione +1/2 e -1/2.

Una rappresentazione grafica dei due possibili valori di spin dell’elettrone.

Lo spin era un numero quantico aggiuntivo che serviva a distinguere i possibili stati occupabili dagli elettroni negli orbitali atomici, e aveva a che fare con il comportamento degli elettroni in un campo magnetico.

In particolare si osservava che sotto l’azione di un campo magnetico gli atomi di un gas sviluppavano dei livelli energetici (sovrapposti a quelli già presenti) che prima non c’erano, segno che gli elettroni avevano interagito, tramite il loro spin, con questo campo magnetico: in base ai due possibili valori dello spin degli elettroni si ottenevano due nuovi livelli energetici molto vicini tra loro (vedi Effetto Zeeman).

In sostanza è come se una certa variabile nascosta (lo spin dell’elettrone) fosse venuta allo scoperto solo durante l’interazione elettromagnetica con il campo esterno.
Un fisico, per spiegare la separazione dei livelli energetici, avrebbe dovuto anzi postulare l’esistenza di questo nuovo numero quantico, e assegnargli precisamente due valori possibili.

Detto ciò, ad Heisenberg bastò tenere a mente la celebre equazione per l’energia a riposo di una particella, dovuta ad Einstein (E=mc^2 ) per fare un collegamento molto interessante: la piccola differenza in massa (\Delta m) tra protone e neutrone si traduce in una certa differenza in energia:

    \[\Delta E=\Delta mc^2\]

A suo dire, questa differenza in energia era dovuta all’interazione elettromagnetica, allo stesso modo in cui la differenza in energia di due livelli atomici nell’effetto Zeeman era dovuta all’interazione con il campo magnetico.

Nel caso dell’effetto Zeeman, il tutto era spiegabile con l’introduzione di un nuovo numero quantico, lo spin.
Prima dell’accensione del campo magnetico, il livello energetico è lo stesso, dopo l’accensione, il livello si separa in due livelli.

Protone e neutrone potevano essere pensati come lo stesso livello energetico, la cui separazione è indotta (secondo Heisenberg) dalle interazioni elettromagnetiche!

L’analogia è evidenziata in questa figura:

Analogia tra effetto Zeeman e la teoria di Heisenberg su protone e neutrone.

Doveva allora esserci un nuovo numero quantico interno in grado di distinguere protone e neutrone durante i normali esperimenti, proprio come lo spin.

I fisici dell’epoca chiamarono isospin questo nuovo numero quantico, proprio per via dell’analogia con lo spin. In questo modo protone e neutrone non erano altro che due stati diversi della stessa particella, la quale fu battezzata nucleone. Per convenzione, al neutrone venne assegnato isospin -1/2 e al protone +1/2.

Heisenberg sfruttò l’isospin per costruire una delle prime teorie sull’interazione nucleare. Il fisico tedesco sapeva bene che la forza nucleare doveva essere ben diversa da quella elettromagnetica fino ad allora conosciuta. Doveva essere una forza attrattiva, certo, se no il nucleo come fa a stare assieme? Però il tipo di attrazione non poteva essere simile a quello elettromagnetico.
Ciò era evidenziato da fatti sperimentali: proprio in quegli anni venivano condotti degli studi sulle energie di legame dei nuclei, e si scoprì che queste non crescevano come sarebbero cresciute se l’interazione nei nuclei fosse stata elettromagnetica.

La differenza tra il comportamento nucleare e quello elettromagnetico.

Inoltre, i dati sperimentali suggerivano che la carica elettrica del protone non influiva quasi per niente sui livelli energetici del nucleo. Quindi secondo Heisenberg i nucleoni contenuti all’interno dei nuclei dovevano interagire in maniera molto speciale, non tramite forze di tipo puramente coulombiano, ma tramite quelle che chiamò forze di scambio.

Queste forze di scambio potevano essere parametrizzate tramite degli operatori di isospin, del tutto simili agli operatori di spin della meccanica quantistica, i quali governavano le interazioni spin-obita e spin-spin tra i vari costituenti dell’atomo.

In questo formalismo lo stato quantistico di protone o neutrone poteva essere indicato con un vettore a due componenti:

Ma in realtà i nomi “protone” e “neutrone” divengono dei segnaposto per parlare di due stati della stessa particella: stato “isospin in alto” e stato “isospin in basso” (nota come ciò si traduce nella posizione del numero 1 nella componente alta e bassa del vettore).

Nella teoria delle forze di scambio nucleare non è possibile distinguere tra protone e neutrone, cioè la teoria, globalmente, “non distingue” tra la carica elettrica del protone e quella del neutrone. Vengono visti come due facce della stessa medaglia, e sono interscambiabili senza che cambi nulla.

In questo senso si parla di simmetria di isospin delle forze nucleari

Per capire meglio come funziona questa teoria occorre fare un ripasso di algebra lineare in due dimensioni.

Un vettore 2D può essere rappresentato sul piano cartesiano (x,y) come una freccia uscente dall’origine:

La rappresentazione cartesiana del vettore (1,1). Le sue componenti sono v1=1 sull’asse x, e v2=1 sull’asse y.

Ad esempio per costruire un vettore di componenti (1,1), cioè v_1=1 sull’asse x, e v_2=1 sull’asse y, parto dall’origine e mi sposto di 1 sull’asse x, poi mi sposto di 1 sull’asse y. Il punto in cui arrivo è la testa del vettore. Collegando la testa con la coda (cioè l’origine) ottengo una linea diagonale che chiamo “vettore”.
Un vettore può essere trasformato da una matrice usando la seguente ricetta di composizione:

Il risultato della trasformazione di un vettore è un nuovo vettore le cui componenti possono essere ottenute dalla ricetta contenuta nella matrice.

Il vettore trasformato ha le sue componenti che nascono mischiando le componenti del vettore di partenza, secondo una particolare ricetta descritta dalla matrice-operatore.
Anche il non fare niente è una trasformazione: prende il nome di matrice identità, la sua azione mi fa ottenere di nuovo il vettore di partenza. Puoi verificare anche tu con la ricetta data sopra che il seguente calcolo lascia invariato il vettore di partenza:

La matrice identità lascia il vettore invariato.
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Infatti in questo caso l’operatore è tale che a_1=1, \,\,a_2=0\,\, a_3=0,\,\,a_4=1, e sostituendo nella ricetta di sopra otteniamo proprio che il vettore rimane invariato.

Per passare da uno stato all’altro del nucleone, cioè da protone a neutrone, si utilizzano gli operatori di salita e di discesa chiamati \tau_+ e \tau_{-}, le quali sono matrici 2\times 2 che agiscono sui vettori proprio come abbiamo visto sopra.

Puoi fare il conto anche tu e verificare che:

Trasformazione di un protone in un neutrone
Trasformazione di un neutrone in un protone

In generale lo stato di un nucleone è parametrizzato dalla sovrapposizione degli stati di protone e neutrone:

Lo stato più generico di un nucleone. \alpha e \beta sono parametri costanti.

Nella teoria di Heisenberg l’interazione tra due nucleoni deve tenere conto dei loro possibili stati di isospin. In particolare in un processo generico deve conservarsi l’isospin totale dei due nucleoni. La richiesta di questa conservazione permetteva di fare alcune previsioni su alcuni nuclei leggeri per mezzo di calcoli piuttosto semplici.

Alla fine la simmetria di isospin serviva a questo, era una semplificazione per i calcoli: tra tutte le possibili interazioni tra i nucleoni sono permesse solo quelle che conservano l’isospin totale, mentre vanno scartate tutte le altre.

Una simmetria imperfetta

La teoria dell’isospin di Heisenberg fu un buon colpo di genio, ma si rivelò piuttosto insoddisfacente a lungo andare. La verità è che a livello subnucleare protone e neutrone hanno una massa ben distinta! Ciò non è dovuto solo all’interazione elettromagnetica, ma anche alla composizione in quark di protone e neutrone (inutile dire che all’epoca di Heisenberg non si conoscevano i quark).

Se avessero masse uguali allora la simmetria di isospin sarebbe perfetta, quindi l’isospin sarebbe un numero quantico al pari dello spin degli elettroni. Questa differenza nella massa fa sì che la simmetria sia imperfetta, cioè consente di fare previsioni corrette solo entro un certo grado di approssimazione.

Nonostante ciò, l’idea delle simmetrie interne (come l’isospin) cambiò per sempre il modo di fare fisica delle particelle. Le simmetrie imperfette furono utilizzate per raggruppare alcuni gruppi di particelle che sbucavano fuori dagli esperimenti sui raggi cosmici e dagli acceleratori degli anni ’50 e ’60. In questo contesto le particelle di massa molto simile venivano catalogate come stati di una stessa particella con numeri quantici diversi (se ti incuriosisce: la via dell’ottetto).

Le simmetrie imperfette servirono ad ispirare Gell-Mann e altri fisici nella costruzione di una simmetria perfetta, che è quella della cromodinamica quantistica e che riguarda i quark. Ma di questo parleremo magari in un altro articolo…


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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica e la magistrale in Fisica Teorica all’università di Pisa, è dottorando presso l’Università degli Studi Roma III, dove studia simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard.

È membro della Società Italiana di Fisica.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).