Come la gravità ci impedisce di misurare distanze più piccole della lunghezza di Planck

Uno dei punti fondamentali per la conquista dell’unificazione tra gravità e meccanica quantistica riguarda la comprensione dello spaziotempo a una scala subatomica di lunghezza.

Lo spaziotempo è essenzialmente un concetto classico: possiamo immaginarcelo come una struttura invisibile che può essere descritta utilizzando i numeri reali (cioè quelli della quotidianità: 2.3, 0.01, \pi, e^{-\pi/2}, -3/4, 2.9999...).

Come immaginiamo la griglia dello spaziotempo curvata dalla massa.

I numeri reali costituiscono un insieme non numerabile, in parole povere non solo abbiamo a disposizione un’infinità di numeri da -\infty a +\infty, ma anche che tra due numeri come 0 e 1 è compresa un’altra infinità di numeri. Inoltre è anche un insieme continuo, cioè dato un certo numero x, è sempre possibile trovare un altro numero y sufficientemente “vicino” al primo in modo che la distanza x-y tra i due si avvicini a zero fino alla cifra decimale che si desidera.
Nei numeri interi, invece, la distanza tra due numeri può solo coincidere con lo zero nel caso in cui i due numeri siano uguali, altrimenti esiste una distanza minima che è quella che riguarda due numeri consecutivi come 4 e 5.

Ecco, classicamente si pensa che lo spaziotempo possa essere descritto con un insieme di numeri reali piuttosto che di numeri naturali. Non è definita una distanza minima se non quella uguale a zero.

Cosa succede quando tiriamo in ballo la meccanica quantistica?

Ispirato dal seguente brillante articolo di Calmet, Graesser e Hsu pubblicato nella Physical Review Letters, ho deciso di volgarizzare un ragionamento che ho trovato molto intrigante, dato che su questi temi si discute sempre pochino e male.

Immaginiamo di avere un certo detector per rivelare la distanza tra due punti x(t) e x(0) nella griglia dello spaziotempo, uno al tempo t=0 e l’altro al tempo t.
Supponiamo per semplicità che il detector, di grandezza L e massa M, misuri questi due punti spostandosi con una velocità v=p/M dove p è la sua quantità di moto. Avremo cioè

Il discorso che sto per fare ora si basa su un’approssimazione euristica al fine di scongiurare l’introduzione di operatori quantistici, dato che aggiungerebbero poco o niente alla sostanza del discorso principale.

Una volta misurate le posizioni x(t) e x(0) con una certa incertezza \Delta x(t) e \Delta x(0), possiamo anche stimare l’incertezza sulla quantità di moto \Delta p usando le formule sulla propagazione delle incertezze:

Considerando ad esempio il punto x(t), varrà il principio di indeterminazione di Heisenberg:

A questo punto sostituiamo dentro il principio di Heisenberg l’espressione di \Delta p=(M/t)[\Delta x(t)+\Delta x(0)] trovata con la propagazione delle incertezze. Trascurando termini quadratici del tipo (\Delta x(t))^2 essendo più piccoli di un ordine di grandezza, si arriva a una relazione interessante:

Le incertezze sulla posizione iniziale e finale sono legate da un principio di indeterminazione, il cui valore aumenta all’aumentare del tempo. Di sicuro questa è una relazione interessante.
Ancora più interessante è chiedersi quale sia l’incertezza sulla distanza tra x(t) e x(0), cioè s=x(t)-x(0). Anche ora, per via della propagazione degli errori, si ha che

    \[\Delta s=\Delta x(t)+\Delta x(0)\]

Se \Delta x(t) diminuisce allora \Delta x(0) aumenta al fine di mantenere vera la \Delta x(0)\Delta x(t)\ge \frac{\hbar t}{2M}, quindi \Delta s è limitato dal valore più grande tra \Delta x(0) e \Delta x(t).

Nel caso in cui \Delta x(t)\approx \Delta x(0) cioè misuriamo i punti x(t) e x(0) con incertezze circa uguali, il principio di indeterminazione fornisce:

Quindi da un punto di vista quantistico possiamo misurare una lunghezza spaziale con una precisione

Dove ricordiamo, t è il tempo che abbiamo lasciato correre tra una misura e l’altra, e M è la massa del nostro detector (che abbiamo fatto interagire con lo spazio attorno a sé lasciandolo muovere liberamente).
Controllando questi due parametri possiamo rendere \Delta s piccolo a piacere. Possiamo costruire un detector molto massivo e fare tante misure consecutive separate da intervalli di tempo t molto piccoli.
Rendendo piccolo il rapporto t/M possiamo rendere \Delta s piccolo a piacere.

Tutto ciò andrebbe bene in un mondo in cui non esiste la gravità. Questo è il messaggio da portare a casa! Se non ci fosse di mezzo la gravità, come puoi vedere, nulla impedirebbe di rendere \Delta s piccolo a piacere (anche se non può mai essere nullo, per via del principio di Heisenberg).

L’intervento della gravità

Ho mentito, non possiamo rendere t piccolo a piacere! Se L è la dimensione del nostro detector, dobbiamo considerare dei tempi t tali che t>L/c cioè maggiori del tempo impiegato dalla luce a percorrere il nostro detector (altrimenti solo una frazione del detector può essere considerato “detector”).

Inoltre non possiamo rendere M grande a piacere: se rendiamo M troppo grande rispetto alle dimensioni L del detector, questi potrebbe collassare in un buco nero, e ciò impedirebbe di leggere qualsiasi informazione sulle misure del nostro esperimento. Il parametro di lunghezza fondamentale di un buco nero è dato dall’orizzonte degli eventi

    \[r_s\sim \frac{GM}{c^2}\]

dove G è la costante di gravitazione di Newton e c la velocità della luce.

Affinché il detector non sia un buco nero da cui non escono informazioni, desideriamo che sia L>r_s. Mettendo tutto assieme avremo quindi

La quantità risultante è identificata come lunghezza di Planck \ell_p, definita come:

La lunghezza di Planck, costante fondamentale della Fisica.
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Non c’è nessun parametro che possiamo controllare nella formula della lunghezza di Planck: è composta da costanti fondamentali della Fisica come G, \hbar, c (costante di gravitazione di Newton, costante di Planck e velocità della luce). Quindi \Delta s\ge \ell_p è un limite inferiore che non possiamo sormontare in alcun modo ingegnoso: la gravità impedisce di misurare distanze più piccole della lunghezza di Planck.

Se vuoi sapere da dove spunta fuori la lunghezza di Planck da un punto di vista storico, ho scritto un articolo a riguardo.

Quanto è piccola una lunghezza di Planck nelle nostre unità di misura quotidiane? \ell_p\sim 10^{-33}\,\text{cm}, ovvero 10^{-25} volte il raggio tipico di un atomo. Per enfatizzare, il numero 10^{-25} corrisponde a 24 cifre dopo lo zero, cioè qualcosa del tipo 0.\underbrace{000.....0}_{24}1. Giusto per intenderci.

Il punto fondamentale è che se non ci fosse la gravità, non esisterebbe una lunghezza minima misurabile e potremmo rendere piccola a piacere l’incertezza quantistica della misura!

Ad avere l’ultima parola sulle dimensioni spaziali subatomiche non è quindi la quantistica, ma la gravità!
Questo risultato è molto significativo per la Fisica! Perché?

Quando si effettuano esperimenti di Fisica delle interazioni fondamentali (come le collisioni tra particelle) si esplorano scale di energia sempre più alte (che equivale a dire: si esplorano regioni di spazio sempre più piccole). La presenza di una scala di lunghezza sotto la quale non si può andare implica anche l’esistenza di una scala di energia sopra la quale non si può andare (perché la gravità diventerebbe rilevante e si inizierebbe a parlare di collasso in buco nero, avendo accumulato tanta energia in una regione di dimensioni molto ridotte). Un altro pezzo del puzzle per la lunga scalata che ci porterà verso la gravità quantistica?


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la magistrale in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, fa ricerca sulle simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard.

È membro della Società Italiana di Fisica.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).