
Fin da quando ho iniziato il mio percorso nella Fisica sono stato affascinato tanto dalla materia quanto dalle personalità che l’hanno costruita. Anzi, ripensandoci devo ammettere che traevo ispirazione dalle azioni quotidiane, dalle abitudini o dai modi di ragionare dei grandi fisici del passato. Non che volessi “emularli” , semplicemente li ammiravo così tanto da voler portare dei pezzi di loro dentro di me, per sentirli più vicini, per guidarmi nelle decisioni e nella motivazione.
Una parte che trovo estremamente interessante della storia di ogni fisico è il suo metodo di studio, e non di quando era già grande e formato, ma di quando era giusto agli inizi.
Un filo conduttore che ho notato è il seguente: per capire a fondo una materia, devi farla tua. Per fare ciò servono due step fondamentali:
- Bisogna essere autodidatti per una buona percentuale del tempo. Il professore ha il ruolo di mostrare la via più proficua e fornire gli schemi per aiutarti a non perderti, il resto devi coltivarlo da solo usando dei libri adeguati allo scopo.
- Dopo aver letto il libro devi estrapolare le tue visioni e i tuoi schemi per poi riorganizzarli come preferisci in forma scritta, su diari o quadernini personali.

Uno dei più grandi che seguiva questo metodo era Richard Feynman, celebre fisico teorico americano (Nobel 1965). Ne sono venuto a conoscenza perché sono incappato di recente in un articolo di Physics Today in cui è stato riesumato da un archivio il “diario degli appunti” di quando Feynman decise di imparare il calcolo infinitesimale da autodidatta quando era ancora al liceo.
Il giovane Feynman decise che il curriculum di matematica liceale (che arrivava a stento alla trigonometria) non era abbastanza per chi volesse iniziare ad interessarsi di Fisica. Per sua fortuna il matematico Edgar Thompson decise di scrivere una serie di libri con l’intento di rendere più accessibili alcune tecniche matematiche che all’epoca erano ancora trattate in maniera piuttosto “aulica”. Feynman trovò particolarmente utile il libro di Thompson “Il calcolo infinitesimale reso facile” del 1923, su cui decise di basare tutta la sua preparazione (introduttiva) alla matematica universitaria.
Trovo giusto rimarcare un attimo l’importanza dell’opera di personaggi come Thompson: se Feynman non avesse potuto sviluppare da solo certe attitudini grazie a libri così accessibili, avrebbe magari avuto più dubbi nel suo percorso, e chissà magari non avremmo mai sentito parlare dei “diagrammi di Feynman”.
Cosa possiamo imparare?
Ci sono poche immagini condivise in rete sul diario di Feynman. Tuttavia da quel poco che abbiamo possiamo comunque trarre alcuni spunti interessanti, oltre ad evidenziare alcuni tratti fondamentali che per Feynman diventeranno caratteristici del suo metodo di lavoro.
L’importanza della schematicitià
La cosa che mi ha sorpreso di più di questo diario è anzitutto la presenza di un indice.

Uno degli ingredienti fondamentali per imparare una materia nuova e complessa è infatti quello di riuscire a organizzare le informazioni in maniera che siano rapidamente accessibili. L’indice è probabilmente il modo migliore per visualizzare graficamente tutti gli aspetti di una materia, e non parlo dell’indice di un libro, ma dell’indice dei propri appunti. Nel mio caso, se i tuoi appunti non hanno un indice è più facile provare un senso di confusione generale quando scorri le pagine. Questo piccolo dettaglio può trasformare una “confusa raccolta” in un serio “arsenale di conoscenze”.
Feynman conservò tutta la vita questa propensione per la schematicità. James Gleick riporta un aneddoto di quando Feynman era ancora studente a Princeton:
[…] Aprì un quaderno degli appunti. Il titolo era “DIARIO DELLE COSE CHE NON SO”. […] Lavorava per settimane per disassemblare ogni branca della Fisica, semplificandone le parti e mettendo tutto assieme, cercando nel mentre inconsistenze e punti spigolosi. Provava a trovare il cuore essenziale di ogni argomento.
James Gleick
Qui non siamo solo davanti a un esercizio “di umiltà” che consiste nel cercare di perfezionare le proprie lacune, ma a una ricerca sistematica, ottimizzata.
Quando Feynman aveva finito il lavoro, si ritrovava con un diario degli appunti di cui andava particolarmente orgoglioso.
James Gleick
La schematicità di questo lavoro permetteva a Feynman di accedere rapidamente a tutti gli argomenti che lui riteneva più importanti, nella grafia e nello stile di presentazione che a lui era più congeniale: il suo.
Da questa lezione possiamo imparare l’importanza della rielaborazione e della schematicità: non solo bisogna far proprio un argomento, ma bisogna organizzare le proprie note in modo che siano accessibili con il minor sforzo possibile, solo così si può andare avanti con una mente abbastanza lucida, pronta ad imparare cose ancora più difficili.
Prendersi un po’ più sul serio
Il secondo aspetto su cui voglio soffermarmi riguarda queste due pagine di appunti:

L’argomento riguarda l’analisi matematica ordinaria: l’angolo iperbolico e le funzioni iperboliche, ma non è questa la cosa interessante, bensì è l’utilizzo di intermezzi stilistici del tipo: “come abbiamo visto”, “se dividiamo…” tutti rivolti al plurale, proprio come farebbe un professore che sta spiegando un argomento in un’aula. Feynman si prendeva sul serio. Questo prendersi sul serio lo portava a redigere gli appunti con uno stile che poteva essere letto da tutti, aumentandone la facilità di lettura e senza sacrificare la rigorosa riorganizzazione delle informazioni.
Ricordiamo: Feynman era appena un adolescente mentre scriveva questo diario, non stiamo parlando di uno studente universitario che si suppone abbia già consolidato certi metodi di studio. Qui sta la precoce genialità di Feynman.

Se si vogliono scrivere degli appunti che ci potrebbero essere utili in futuro, bisogna farlo prendendosi sul serio, scrivendo come se dovessimo esporre in un’aula con persone che su quell’argomento non sanno nulla.
Se non si fa ciò, si rischia di ritrovarsi con degli appunti illeggibili presi distrattamente qualche anno prima, con il risultato di aver sprecato ore di studio senza poter riacquisire in maniera rapida le conoscenze dimenticate.
Anche uno dei più grandi fisici del novecento, Enrico Fermi, usò la tecnica del diario degli appunti fin da quando era al liceo. Proprio come Feynman, Fermi era ossessivo nel redigere i propri appunti, dedicandovi una meticolosa attenzione, fin dalla stesura dell’indice:


Come testimoniarono i suoi colleghi e amici, Fermi riutilizzava spesso i propri quadernini anche in età adulta, proprio perché gli consentivano l’accesso immediato a numerose branche del sapere, diventando quasi “un’estensione” del proprio cervello.
Di nuovo, la loro efficacia stava probabilmente nel fatto di essere stati scritti in uno stile a lui più congeniale, usando schemi con cui aveva maggiore confidenza. Qualcuno disse che Fermi aveva fatto sua tutta la Fisica, tanto da definirlo “l’ultimo uomo che sapeva tutto“.
PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

