La freccia del Tempo, spiegata con la statistica elementare

Si sente spesso dire che la Fisica non cambia se si inverte la freccia del tempo. Ne ho anche parlato di recente in un articolo sulla gravità.

La nostra esperienza quotidiana però è ben diversa: un cubetto di ghiaccio si scioglie se esposto a una temperatura più alta, e anche abbassando di nuovo la temperatura l’acqua si solidificherà, ma non riassumerà mai la forma iniziale. Fatti analoghi a questo, da millenni, ci hanno convinto che esista una direzione ben definita del tempo, un passato realizzato e un futuro da realizzarsi. La morte ne è solo l’esempio emotivamente più eclatante.

Come conciliare le due cose?

Come possiamo dire che le leggi della fisica sono in gran parte soddisfatte sia dalle equazioni con il tempo normale, sia dalle equazioni con il tempo invertito (t\to -t), ma poi rimangiarci tutto e dire che in realtà il mondo funziona in una sola direzione e mai in quella opposta?

Il problema è il calcolo

Immagina una scatola che contiene N particelle che interagiscono tra loro in maniera molto complicata. In linea di principio, tramite la Fisica saremmo in grado di calcolare posizioni e velocità di tutte le particelle a ogni istante di tempo (ricorda: 3 coordinate spaziali per ciascuna dato che viviamo in un mondo tridimensionale, e 3 coordinate per la velocità per lo stesso motivo).

Ad esempio siamo interessati a questo problema: tracciando una linea immaginaria che divide in due parti la scatola, vorremmo capire quante particelle staranno a destra e a sinistra di questa linea in un certo intervallo di tempo \tau in cui ci mettiamo ad osservare la scatola.

In totale quindi abbiamo da calcolare 6\times N coordinate di cui vogliamo sapere l’andamento nel tempo per poter predire dove si troverà ciascuna particella. Ognuna di queste coordinate potrebbe essere dipendente da qualsiasi altra per via delle interazioni tra le particelle, e il problema diventa immediatamente molto complesso dal punto di vista del calcolo numerico.

Come rimedio possiamo fare delle assunzioni ragionevoli. Si tratta di buonsenso. Si preferisce ottenere la massima resa con il minimo sforzo (essendo il mondo dannatamente complesso di per sé).

Anzitutto semplifichiamo il problema, per capirci meglio. Trattiamo solo 2 particelle interagenti (distinguibili tra loro).

Due particelle interagenti in una scatola. Le particelle sono distinguibili tra loro (di colore diverso).

La domanda che ci facciamo è: se osserviamo la scatola per un tempo \tau, quanto spesso vedremo le particelle a sinistra o a destra della linea immaginaria?

Facciamo un’altra assunzione ragionevole: supponiamo che queste 2 particelle interagiscano poco, così da non turbarsi troppo a vicenda. Concentriamoci sul numero di particelle n in un lato della scatola.

In un determinato lato ci potranno essere al massimo due particelle, e al minimo nessuna (n_\text{max}=2, n_\text{min}=0). Può anche esserci una sola particella per lato, e dato che sono distinguibili questo può avvenire in due modi: la blu a sinistra, la arancione a destra, o viceversa.

In totale abbiamo quattro configurazioni possibili, mostrate in figura.

Dal punto di vista del numero, entrambe le configurazioni “arancione a destra e blu a sinistra, e viceversa” conducono alla stessa risposta: una sola particella in un determinato lato, n=1. In Fisica questa proprietà è nota come degenerazione degli stati: lo stato a n=1 particelle per lato ha degenerazione pari a 2, la indichiamo col simbolo C(n)=2.

Siccome assumiamo che interagiscano poco, e che la scatola sia perfettamente simmetrica tra destra e sinistra, ciascuna avrà una uguale probabilità di trovarsi in uno dei due lati, ovvero p=1/2 (o il 50\%).

Il fatto che si influenzano pochino ci permette di dire che la probabilità per ciascuna configurazione mostrata in figura sarà il prodotto delle singole probabilità, cioè (1/2)\times (1/2)=1/4.

Tuttavia la configurazione a una particella per lato compare due volte (degenerazione), quindi la probabilità per questa particolare configurazione è data da 2\times (1/2)\times (1/2)=1/2.


Ci sono più modi equivalenti di ottenere lo stesso stato macroscopico (n=1), quindi è più probabile degli stati a n=0 e n=2.

La degenerazione controlla quanto è grande la probabilità di un certo stato macroscopico.

Per fissare le idee, in generale per esprimere la probabilità P_2 di avere n particelle in uno dei due lati è:

    \[P_2(n)=C_2(n)\times \frac{1}{2}\times\frac{1}{2}\]

in cui, come abbiamo detto, C_2(n=2)=C_2(n=0)=1 e C_2(n=1)=2.

Facciamo ora un bel salto: passiamo da 2 particelle a N particelle. La probabilità di avere n_1 particelle in un lato, e n_2=N-n_1 nell’altro, è una generalizzazione della formula precedente:

    \[P_N(n_1)=C_N(n_1)\times \left(\frac{1}{2}\right)^{n_1}\times\left(\frac{1}{2}\right)^{N-n_1}\]

dove adesso la degenerazione è data da:

    \[C_N(n_1)=\frac{N!}{n_1!(N-n_1)!}\]

Nota che quei punti esclamativi non sono estetici, è un’operazione chiamata “fattoriale” (2! = 2\times 1, 3! = 3\times 2 \times 1 e così via. Una particolarità buffa è che per definizione 0! =1).

Ora chiediamoci: qual è la configurazione n_1 che ha la più alta probabilità di verificarsi? Il buonsenso ti avrà suggerito bene: n_1=N/2 particelle a destra ed n_2=N-n_1=N/2 particelle a sinistra. Se tutto è all’equilibrio, lo stato in cui metà delle particelle occupano ciascun lato è ovviamente quello che osserveremo di più nel lasso di tempo \tau in cui stiamo monitorando la scatola.

Il punto però è il seguente: la quotidianità, la vita e l’universo stesso, sono sistemi che in generale sono fuori dall’equilibrio. Ciascun processo della nostra esistenza consiste in una transizione da uno stato fuori equilibrio a uno stato con maggiore equilibrio, in un processo che va all’infinito.

Qual è la probabilità che tutte le N particelle stiano in un solo dei due lati della scatola? Sicuramente sarà più piccola, ma perché? Semplicemente ci sono meno modi di realizzarla rispetto alle altre, in particolare c’è un solo modo! Ricorda infatti che è la degenerazione che fa aumentare la probabilità.

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Quanto sarà piccola questa probabilità? Qual è la probabilità per la configurazione a n_1=N? Poniamo n_1=N nella formula data sopra:

    \[P_N(n_1=N)=\underbrace{\frac{N!}{N!}}_1\times \left(\frac{1}{2}\right)^N\left(\frac{1}{2}\right)^0=\]

    \[=\frac{1}{2^N}\]

Se N è un numero molto grande, questa probabilità è insignificanteQuesta è la chiave di tutto il discorso. Anche solo per N=100 la probabilità è minuscola P_{100}(100)\approx 10^{-30}, figuriamoci per un numero di Avogadro! (N\sim 10^{24}).

Immaginiamo quindi che il sistema sia inizialmente fuori dall’equilibrio, cioè che la scatola sia divisa in due parti da una paratia che teniamo abbassata. Una volta alzata la paratia, le particelle saranno libere di distribuirsi alla ricerca di un nuovo equilibrio, distribuendosi in parti eguali a sinistra e a destra.

Spontaneamente, le particelle passano da sinistra verso destra. Passato (figura sopra), e futuro (figura sotto) sono ben distinti. Nella tua vita non vedrai mai accadere il contrario.

Occhio però: non sono le leggi fondamentali della Fisica a proibirlo, queste funzionano perfettamente anche al contrario nel tempo. Lo stato con tutte le particelle a sinistra appartiene anche lui all’insieme degli stati “esplorabili” dal sistema.

Per questo motivo la configurazione in cui tutte le particelle stanno a sinistra può ricapitare, ovviamente. Tuttavia la probabilità che ciò accada è pari a 1/2^N come abbiamo visto, cioè estremamente piccola.

In questo senso c’è una distinzione netta tra uno stato iniziale e uno stato finale, una direzione del tempo ben distinta: le particelle non si distribuiranno praticamente mai più nella configurazione iniziale (che corrisponderebbe a un’inversione di quell’illusione che chiamiamo freccia del tempo).

Quel “praticamente” non vuol dire “impossibile”, vuole solo dire una “probabilità così piccola da essere considerabile come impossibile”.

In ciò sta la distinzione tra reversibilità delle leggi del moto e la vita reale: nel grande numero di componenti del sistema che costituisce l’universo, in questo fatto del “contare le configurazioni”, che da noi è stato chiamato per millenni, ingenuamente, “freccia del tempo”.

Bibliografia

Coniglio, A. “Reversibilità e freccia del tempo” Giornale di Fisica Vol. LXI, N.2
Lebowitz, J.L., Physica A, 194 (1993)


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Matteo Parriciatu

Dopo la laurea in Fisica (2020) e la magistrale in Fisica Teorica (2023) all’Università di Pisa, fa ricerca sulle simmetrie di sapore dei leptoni e teorie oltre il Modello Standard.

È membro della Società Italiana di Fisica.

È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).

Perché secondo Rovelli la Relatività suggerisce di abbandonare il concetto di spaziotempo

Durante il secolo scorso, la Relatività Generale si è presentata con il più grande colpo di scena che la Fisica abbia mai visto:

L’interpretazione ortodossa della relatività generale: esiste uno spaziotempo che viene curvato dalle sorgenti di massa.
Le altre masse non possono fare altro che “seguire la curvatura” e quindi essere attratte.

Il campo gravitazionale non esiste, la gravità è il risultato della curvatura dello spaziotempo.

Chiunque si sia mai interessato di relatività generale si è quindi abituato a visualizzare questa affermazione con la splendida rappresentazione dello spaziotempo “curvato”.

Lo spaziotempo è per noi una “griglia immaginaria” che esiste fin dal Big Bang, una qualche costruzione geometrica su cui si collocano tutti gli eventi della nostra realtà.
Questi eventi possono essere descritti con le coordinate che vogliamo, e queste coordinate vanno a strutturare il palcoscenico matematico a cui diamo il nome “spaziotempo” dal punto di vista dei calcoli. Ma in ogni caso stiamo sempre assumendo che questa griglia invisibile e sottostante esista sempre, e in genere diamo anche a lei il nome di spaziotempo.


Di sicuro è una rappresentazione che ci consente di fare i conti in maniera molto comoda, ma ciò ha un determinato prezzo da pagare.

Questa rappresentazione assume in qualche modo che lo spaziotempo esista indipendentemente dalla materia e da ogni altra sorgente di energia, e questo è proprio ciò che sancisce il divorzio completo con la visione “quantistica” delle interazioni, come illustrato nel seguente schema:

Ciò pone non pochi problemi dal punto di vista della gravità quantistica, la quale si ritrova a dover mediare tra due visioni nettamente diverse! Nonostante ciò, entrambe le teorie funzionano in maniera impeccabile nei loro rispettivi campi di applicazione. In particolare anche la relatività generale ha ricevuto l’ennesima schiacciante conferma di validità secondo i dati recenti sull’osservazione del buco nero al centro della nostra galassia (EHT).

Eppure, nonostante sia data per scontata, questa interpretazione dello spaziotempo in relatività generale è tutt’altro che definitiva.

Di recente mi è capitato di studiare dei paragrafi del testo specialistico “Quantum Gravity” di Carlo Rovelli, incappando in un’osservazione che ritengo di altissimo valore concettuale e che aiuta a risolvere un importante paradosso delle equazioni di Einstein.

In realtà questa argomentazione non è dovuta solo a Rovelli, ma risale fino agli albori della relatività generale. È il cosidetto “hole argument” di Einstein, il quale giunse alle importanti conclusioni illustrate anche da Rovelli.

Un paradosso molto arguto

Immaginati una regione nello spaziotempo senza sorgenti di gravità, cioè senza massa o altre forme di energia come quella elettromagnetica. Magari questa regione di spaziotempo la prendiamo piccola a piacere per non complicarci le idee.

Con il simbolo delle tre ondine increspate, intendiamo uno spaziotempo curvo in quel punto.

Considera ora due punti A e B in questa regione vuota, e supponi di essere in grado di misurare la curvatura dello spaziotempo in entrambi i punti. Per intenderci, definiamo lo spaziotempo con il simbolo g_{\mu\nu}.

Per via di una particolarissima disposizione delle sorgenti esterne alla regione che stiamo considerando, supponi che lo spaziotempo sia curvo nel punto A e piatto nel punto B.

Ora usufruiremo del nome “Relatività Generale”, che non è stato assegnato a caso! Questo nome testimonia il postulato fondamentale su cui è basata tutta la teoria: la Fisica non può dipendere dalle coordinate di chi la osserva. Quando passiamo da un sistema di coordinate ad un altro stiamo eseguendo una trasformazione che chiamiamo \phi. Quando lasciamo agire \phi su una quantità “e“, otteniamo il suo trasformato \bar{e}=\phi\,e indicato con \bar{e}. Le quantità importanti della relatività generale non cambiano sotto la trasformazione \phi.

Se io calcolo una soluzione delle equazioni di Einstein che mi restituisce il valore della curvatura dello spaziotempo, il quale dipende da g_{\mu\nu}(x) in ogni suo punto x, allora un cambiamento di coordinate ottenuto con la trasformazione \phi genererà un’altra soluzione delle stesse equazioni, che ha la stessa validità della soluzione precedente.

Il punto è che \bar{g}_{\mu\nu} risolve le stesse equazioni di Einstein con le stesse sorgenti, non è cambiato nulla rispetto a prima. Cambia solo il linguaggio in cui abbiamo espresso g_{\mu\nu} (cioè le coordinate particolari che utilizziamo).

Supponiamo di trasformare le nostre coordinate in modo da mandare il punto A nel punto B e lasciare invariati tutti gli altri punti al di fuori del buco. Anche la soluzione delle equazioni di Einstein trasformerà come \bar{g}=\phi\,g. In sostanza, abbiamo fatto la seguente cosa:

Una trasformazione che lascia invariato tutto lo spazio tranne i punti all’interno della regione vuota. Dopo la trasformazione lo spaziotempo presenta una curvatura nel punto B , mentre la curvatura è nulla nel punto A.

Nelle nuove coordinate lo spaziotempo nel punto A è quindi piatto, mentre ora è curvo nel punto B.

Ripeto, \bar{g}_{\mu\nu} è una soluzione altrettanto valida, e la trasformazione che abbiamo fatto è consentita dalle leggi della Relatività Generale.

Ma allora lo spaziotempo nel punto A è piatto oppure curvo? Ci troviamo di fronte a un paradosso, come se le equazioni di Einstein fossero completamente inutili perché non sono in grado di descrivere lo spaziotempo univocamente.

Questo aspetto turbò gravemente Einstein in persona, tanto da fargli dubitare più volte che il principio di relatività generale avesse senso fisico.

In realtà, come fa notare Rovelli, la soluzione del paradosso sta nel ripensare la nozione di “punto dello spaziotempo”, o in generale: smetterla di attribuire tanta importanza a una griglia immaginaria come lo spaziotempo.

In realtà stavamo risolvendo un problema sbagliato.

La domanda fondamentale “com’è lo spaziotempo nel punto A? Ha in realtà meno significato di quello che pensavamo. Il problema era mal posto, o meglio, non aveva senso considerarlo un problema.

In Relatività Generale assumiamo l’esistenza di questa griglia invisibile chiamata “spaziotempo”, dandole un significato intrinseco che è maggiore di quello che realmente ha.
Nonostante accettiamo senza problemi il fatto che possiamo usare qualsiasi tipo di coordinate vogliamo per elencare i punti di questa griglia, qualcosa nella nostra intuizione ci porta a credere che la griglia abbia davvero un significato fisico.

Una rappresentazione bidimensionale della griglia spaziotemporale che ci immaginiamo nella nostra testa.

Il concetto di griglia ha però, come molti altri concetti, solo una natura strumentale. Spesso ci permette di capire ciò che stiamo facendo, ma non dovremmo dargli un significato ontologicamente maggiore di quello strumentale, o almeno questo è il suggerimento di Einstein e Rovelli.

Hai visto come il domandarci quale fosse la curvatura dello spaziotempo in uno specifico punto ci ha portato al paradosso che le equazioni di Einstein descrivono due cose diverse con due soluzioni che dicono in realtà la stessa cosa? Stavamo risolvendo un problema sbagliato, questo è l’errore a cui siamo condotti se non seguiamo il suggerimento.

Considera invece questa situazione: supponiamo che nel punto A si incrocino anche le traiettorie spaziotemporali di due particelle (cioè le loro geodetiche):

Le geodetiche delle particelle sono indicate con la linea tratteggiata blu.

Le coordinate con cui descriviamo il punto A adesso racchiudono non solo l’informazione sulla curvatura dello spazio tempo g_{\mu\nu}, ma anche l’informazione “si sono incrociate le geodetiche delle due particelle!“.
Anche le geodetiche dipendono dalle coordinate che utilizziamo, quindi se ora eseguiamo la stessa trasformazione di coordinate di prima, cioè mappiamo un punto nell’altro, dobbiamo spostare anche il punto di incontro delle geodetiche!

Come vedi ora sia la curvatura dello spaziotempo sia il punto di incontro delle geodetiche sono stati trasportati dal punto A al punto B. Supponiamo di voler rispondere, grazie alle equazioni di Einstein, alla seguente domanda:

“Com’è la curvatura dello spaziotempo nel punto in cui si incontrano le geodetiche delle due particelle?”

Questa domanda, a differenza di prima, è tutta un’altra questione: è ben posta ed ha una soluzione univoca data dalla soluzione delle equazioni di Einstein. Come puoi vedere, sia prima che dopo la trasformazione di coordinate esiste una curvatura nel punto di incontro delle due geodetiche. Lo spaziotempo è curvo nel punto in cui le due geodetiche si incontrano. Questa informazione non dipende da quali coordinate stiamo utilizzando. Quindi è questa la vera domanda da porsi in una situazione simile.

La Relatività Generale ci suggerisce che la griglia immaginaria ha molto meno significato fisico di quello che credevamo: ha poco senso fisico chiedersi quale sia il valore della curvatura dello spaziotempo in un suo specifico punto senza introdurre campi di materia o interazioni tra particelle che possano interagire in quel punto.

Se ti interessa la Fisica, iscriviti alla newsletter mensile! Ho pensato di scrivere una guida-concettuale di orientamento per aiutarti a capire da dove studiare.

Uno spaziotempo senza materia e particelle non ha significato fisico, la realtà non è composta da spaziotempo e campi, ma da campi su campi, secondo Rovelli. Possiamo fare affermazioni fisicamente sensate solo nel momento in cui iniziamo a relazionare campi di materia con altri campi di materia (come l’incrocio delle due geodetiche visto nell’esempio).

Questo punto di vista capovolge ancora una volta il significato che attribuiamo alla Relatività Generale: non è che la gravità non esiste ed è solo lo spaziotempo a farci sembrare che ci sia, sono le interazioni con le particelle che danno un significato fisico allo spaziotempo. Lo spaziotempo emerge grazie alle particelle, e non il contrario. Per la gravità quantistica questa interpretazione è nettamente più favorevole in quanto il mediatore smette di essere indipendente dalla materia che interagisce (vedi lo schema fatto all’inizio).

Gli oggetti non sono immersi nello spazio. Gli oggetti costituiscono lo spazio. Come un matrimonio: non è che marito e moglie “percepiscono il matrimonio”, loro sono il matrimonio, lo costituiscono. […] Allo spazio non rimane nulla se togli tutte le cose che lo abitano. Lo spazio è costituito dalle cose.

Carlo Rovelli

Si nasconde forse qui il segreto per iniziare a conciliare gravità e meccanica quantistica?

Secondo me questo paradosso meriterebbe di essere illustrato maggiormente nei libri di testo introduttivi di Relatività Generale, perché nasconde il cuore concettuale della materia. Per questo motivo ho pensato di portare in superficie l’osservazione di Rovelli, uno dei pochi autori moderni che ha scelto di parlarne a un secolo di distanza.


PS. ho scritto un libro di testo che rappresenta proprio ciò che avrei desiderato leggere all’inizio dei miei studi di Fisica teorica, per renderla accessibile agli amatori e insegnare le tecniche matematiche necessarie a una sua comprensione universitaria. Si chiama “L’apprendista teorico” , dai un’occhiata per vedere di cosa si tratta. Il libro è acquistabile su Amazon.

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Matteo Parriciatu
Matteo Parriciatu

Dopo aver conseguito la laurea in Fisica nel 2020, studia Fisica Teorica all’Università di Pisa specializzandosi in simmetrie di sapore dei neutrini, teorie oltre il Modello Standard e interessandosi di Relatività Generale.
È autore del libro “L’apprendista teorico” (2021).